Gli studiosi della Bibbia lo hanno sempre considerato «lo Sherlock Holmes dei Vangeli», perché è sempre riuscito a trarre conclusioni interessanti e illuminanti anche dal più piccolo indizio riguardante la vita di Gesù di Nazaret. Carsten Peter Thiede, storico e papirologo tedesco, studioso del Nuovo Testamento scomparso prematuramente nel 2004 a soli 52 anni, membro della chiesa evangelica poi convertitosi all’anglicanesimo, qualche mese prima di morire aveva dato alle stampe un libro, Jesus, che ora viene pubblicato in Italia (Jesus. La fede. I fatti, Edizioni Messaggero Padova, pagg. 192, euro 20).

Volume agile e appassionante, con il quale, ancora una volta, l’autore evidenzia, grazie alle più recenti scoperte archeologiche spesso ignorate dal grande pubblico, la credibilità storica degli avvenimenti narrati dagli evangelisti. E attesta come in Gesù i fatti storici e la fede coincidano: non esiste dunque un Cristo della fede frutto di tardive elucubrazioni o invenzioni religiose, separato dal Nazareno che percorse le strade della Palestina nei primi decenni del I secolo. Tra i tanti esempi citati da Thiede ci soffermiamo su due, entrambi riguardanti l’infanzia di Gesù che, com’è noto, è stata descritta soltanto dagli evangelisti Matteo e Luca, ed è invece ignorata da Marco e Giovanni.

Il primo «caso» riguarda il famoso censimento stabilito da Cesare Augusto, descritto da Luca come la causa del viaggio di Giuseppe e Maria da Nazaret a Betlemme, dove poi la giovane donna, ormai al termine della gravidanza, dà alla luce Gesù. L’evangelista parla di un censimento avvenuto «quando era governatore della Siria Quirinio». Ora è un dato ormai assodato che Gesù sia venuto alla luce tra i cinque e sette anni prima dell’ipotetico anno d’inizio dell’era cristiana. La data più accreditata è il 7 avanti Cristo e la si deduce anche dal fatto che il re Erode il Grande, l’autore della strage degli innocenti, muore nel 4 avanti Cristo. Quirinio sarà governatore di Siria e condurrà un censimento soltanto nel 6 dopo Cristo. Altre difficoltà riguardano la tipologia di censimento e il fatto che Maria e Giuseppe dovessero andare a registrarsi non nella località dove vivevano, ma a Betlemme, da dove proveniva la famiglia del padre putativo di Gesù. Secondo Thiede il passo evangelico che parla del censimento dovrebbe essere tradotto così: «Questo primo censimento fu fatto prima di quello che avvenne nel tempo in cui Quirinio era governatore della Siria».

Una scoperta archeologica, recente e importante, getta nuova luce sull’intero episodio descritto da Luca. Riguarda il ritrovamento dell’archivio familiare completo di un’ebrea di nome Babata, scoperto già nel 1961 a Nacahl Arugot, a nord di Masada, presso il Mar Morto, e pubblicato nel 1989. Solo nel 1995 il papirologo tedesco Klaus Rosen attirò l’attenzione sull’importanza di uno dei documenti che compongono l’archivio: si tratta di una dichiarazione fiscale rilasciata nell’anno 127, al tempo dell’imperatore Adriano e redatta in lingua greca. Dal documento apprendiamo che Babata viveva a Maoza e possedeva un appezzamento di terra. Per il censimento dell’anno 127, la donna, insieme al marito, anche lui possessore di un terreno, dovette recarsi all’ufficio fiscale di Rabbath, a circa quaranta chilometri di distanza rispetto a dove viveva. Nella dichiarazione fiscale compare anche la firma del marito di Babata, ed entrambe le sigle furono scritte in lingua aramaica. Sono presenti anche i nomi dei cinque testimoni che sanciscono la veridicità dell’atto, e dalle date apposte apprendiamo che Babata e Judanes dovettero attendere circa quattro giorni prima che l’atto amministrativo fosse concluso: aggiungendo i quattro giorni di viaggio andata-ritorno, da Maoza a Rabbath, si arriva a una settimana intera, durante la quale la coppia deve aver cercato alloggio nel capoluogo amministrativo, in quel periodo – i primi di dicembre – certamente affollato proprio a causa del censimento.
Come nel vangelo di Luca, anche qui all’inizio del documento c’è l’indicazione dell’imperatore, nel cui nome il censimento viene svolto, Adriano, e il secondo nome è quello del governatore Tito Aninio Sextio Fiorentino. Entrambi gli scritti – la dichiarazione fiscale e il vangelo – usano la stessa parola greca, apográphestai, per indicare l’obbligo di farsi registrare. «Anche se l’evangelista non si esprime con formule strettamente giuridiche, ogni lettore di Luca comprendeva che Giuseppe aveva un terreno ereditato a Betlemme o in quei dintorni».

L’altra vicenda riguarda la strage degli innocenti ordinata dal re Erode impensierito per l’arrivo del «re d’Israele» annunciato dalle profezie e dai Magi, evento citato dal vangelo di Matteo, ma non dallo storico Giuseppe Flavio, nato sette anni dopo la morte di Gesù e autore di due opere, Storia della guerra giudaica e Antichità giudaiche. Certo, Erode era un uomo spietato, era stato capace di uccidere tre dei suoi figli proprio nell’anno di nascita di Gesù, il 7 avanti Cristo. C’è però chi si interroga sul perché del silenzio delle fonti storiche a proposito della strage di Betlemme. Thiede ricorda che i bambini maschi sotto i due anni, a Betlemme potevano essere al massimo una dozzina. Ma soprattutto ricorda che ad Ascalona, una città sul Mare Maditerraneo a nord di Gaza, con la quale Erode aveva uno stretto rapporto, furono uccisi, chiaramente a sangue freddo, circa duecento bambini, la maggior parte dei quali aveva soltanto qualche mese di vita, nessuno comunque aveva superato i due anni. Una strage scoperta dagli archeologi pochi anni fa, con il ritrovamento degli scheletri nella cantina di una grande casa. Secondo alcuni si sarebbe trattato di un bordello, dove i maschi messi al mondo dalle prostitute contro la loro volontà venivano uccisi subito dopo la nascita, anche se questa appare solo una pura ipotesi, dettata dalla necessità di trovare spiegazione per una strage di proporzioni sicuramente maggiori di quella di Betlemme citata nel vangelo, e anche questa, come la precedente, mai ricordata da Giuseppe Flavio.

«Il silenzio degli storici – conclude Thiede – non ci dice nulla circa la possibilità o la realtà di un fatto o di un avvenimento». Per questo sono sempre falliti i tentativi di dimostrare la non veridicità della strage degli innocenti. Mentre è innegabile che fino a oggi non una scoperta scientifica, archeologica o filologica sia stata in grado di smentire anche soltanto uno dei versetti evangelici.

Andrea Tornielli

Il Giornale, 28 settembre 2009