Per molti cristiani la libertà religiosa è una priorità, in qualunque nazione e in qualunque contesto sociale. È una priorità anche per quei milioni di cristiani che ancora oggi soffrono la persecuzione religiosa in varie parti del mondo. Due sono gli elementi che rappresentano le tappe importanti della ricerca verso tale libertà: un elemento politico e un elemento sociale.
Il primo ci porta ad intendere la libertà religiosa non solo come libertà per i gruppi religiosi ma anche come equità legale. Trattare tutte le religioni come uguali davanti alla legge non significa denigrare i contenuti della fede, ma affermare che perfino lo Stato e i suoi organi hanno compiti limitati: ricercare la giustizia e il benessere di tutte le persone che si trovano nel suo territorio indipendentemente dalla loro appartenenza religiosa. Lo Stato è la casa di tutti, non può sposare dei simboli o delle religioni, pur se significativi o culturalmente plausibili.
Il secondo elemento – quello sociale – è più complesso e richiama il concetto di tolleranza. La tolleranza vuole che consideriamo seriamente le idee dell’altro. Questo tipo di tolleranza non raccoglie particolare stima e non è una novità. Per molti si confonde con un’indistinta apertura, con un indiscriminato relativismo, con la mancanza di convinzioni. Per altri è “un bicchiere mezzo pieno”, una sofferenza da sopportare, il massimo che si può ottenere in questa situazione dati certi vincoli.
Questa accezione di tolleranza però confonde. La tolleranza religiosa non può ridursi ad una näive e totale accettazione di qualunque tipo di credenza. Le religioni hanno differenze importanti e irriducibili riguardo la vita e i suoi significati. La diversità religiosa è importante e spesso dietro i richiami indiscriminati alla tolleranza c’è l’idea che comunque della religione si possa fare quasi a meno, è un gioco che significa poco e che dopotutto è uguale ovunque. Falso. Seppur ci siano molte similarità, ogni religione dice delle cose diverse e queste differenze sono importanti.
La tolleranza non è indifferenza. Io sono indifferente verso le cose che non mi interessano: il colore delle scarpe di X, i capelli di Y. Sono tollerante, invece, verso le cose che mi preoccupano. Qui sta però la contraddizione di noi occidentali e italiani. Vorremmo pensarci tolleranti quando in realtà di religione non ce ne frega quasi nulla. Non importa se c’è disaccordo tra religioni, poiché pensiamo che non significhi molto, che valga poco. In modo simile la tolleranza autentica non deve essere confusa con il relativismo – dove il disaccordo non può neanche sorgere – o con lo scetticismo – dove è storicamente forte il richiamo ad un conformismo sociale che reprime le differenze religiose. Non è neanche un’indistinta apertura ecumenica, né è tolleranza l’appello a confinare la religione nell’ambito domestico.
Ricercare la tolleranza religiosa significa lasciare che gli altri esistano liberamente e se è il caso opporsi a loro con la forza delle idee e delle parole. Significa richiamare le differenze e dire che sono differenze, alcune delle quali ci trovano in totale disaccordo, alcune addirittura inaccettabili.
La diversità religiosa è da affrontare con la forza delle idee e delle parole non con la forza della legge, dello Stato.
Nel prossimo futuro anche la società italiana dovrà affrontare livelli di integrazione culturale e religiosa mai incontrati prima. Certo vorremmo tutti vivere in accordo e nella piena accettazione, ma pare che non sarà così. Intanto dobbiamo imparare a vivere gli uni accanto agli altri senza danneggiarci, senza banalizzare o ignorare le nostre differenze. Questa è la forza della tolleranza: non è tanto il superamento della diversità, quanto la possibilità di un diritto ad essere diverso. E merita il nostro sostegno – anche come cristiani – perché è l’unico modo per preservare la verità e la convivenza civile.

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