tratto da Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia tra scienza e fede


Rivolgendosi a tutti i credenti prima e quindi agli scienziati che non credono o che temono che la fede possa essere in contrasto con le loro ricerche, l’autore sprona entrambi a spostarsi dal proprio punto di vista per provare a considerare come possibile una visione armonica tra la scienza e la fede. Scrive così un’esortazione ai credenti che «dovrebbero cercare di essere fra i primi a inseguire nuove conoscenze» ed agli scienziati affinché non basino «la vostra valutazione della fede sul comportamento dei singoli individui o della religione organizzata, ma sulle verità spirituali eterne che la fede presenta».


Se Dio è il creatore dell’intero universo, se ha messo in atto un piano specifico per il ruolo dell’umanità, e se prova il desiderio di stabilire un rapporto personale con gli esseri umani, in cui ha instillato la legge morale per segnalare loro la sua presenza, allora non può certo essere minacciato dagli sforzi delle nostre deboli menti che cercano di comprendere la grandezza della sua creazione.

In un tale contesto, la scienza può essere una forma di venerazione. Anzi, i credenti dovrebbero cercare di essere fra i primi a inseguire nuove conoscenze. Molte volte, in passato, sono stati proprio i credenti a guidare la scienza. Eppure, troppo spesso gli scienziati provano apprensione a confessare le proprie opinioni in materia di spiritualità. A complicare ulteriormente il problema, i leader ecclesiastici non sembrano essere al passo con le nuove scoperte scientifiche, e corrono il rischio di attaccarne le prospettive senza avere compreso appieno i fatti. Ciò può far cadere la Chiesa nel ridicolo, spingendo i cercatori sinceri lontano da Dio invece che fra le sue braccia. I Proverbi mettono in guardia contro un fervore religioso di questo tipo, bene intenzionato ma male informato: «Lo zelo senza riflessione non è cosa buona» (19,2).

I credenti farebbero bene a seguire l’esortazione di Copernico, che vide nella scoperta dell’eliocentrismo un’occasione per celebrare, piuttosto che sminuire, la grandiosità di Dio: «Conoscere le possenti opere di Dio; comprenderne la saggezza, la maestà e la potenza; apprezzare, in secondo grado, il meraviglioso funzionamento delle sue leggi: sicuramente, tutto questo dev’essere una forma soddisfacente e accettabile di venerazione dell’Altissimo, cui l’ignoranza non può risultare più gradita della conoscenza». [1]

D’altro lato, se confidate nei metodi della scienza ma rimanete scettici sulla fede, potrebbe essere giunto il momento di domandarvi quali ostacoli vi impediscano di cercare un’armonia fra queste due visioni del mondo.

Siete preoccupati che credere in Dio richieda una discesa nell’irrazionalità, un compromesso logico o persino un suicidio intellettuale? Spero che gli argomenti presentati in questo libro possano almeno costituire un piccolo antidoto contro un simile punto di vista, e convincervi che, di tutte le possibili concezioni del mondo, la visione atea è la meno razionale.

Siete rimasti disgustati dall’ipocrisia di molti che professano di credere? Di nuovo, ricordate che l’acqua pura della verità spirituale giace in quei contenitori arrugginiti chiamati esseri umani, quindi non c’è da stupirsi se talvolta quelle credenze fondamentali subiscono distorsioni. Non basate dunque la vostra valutazione della fede sui comportamenti dei singoli individui o della religione organizzata, ma sulle verità spirituali eterne che la fede presenta.

Siete tormentati da qualche specifico problema filosofico riguardante la fede, come per esempio perché un Dio amoroso permetterebbe la sofferenza? Riconoscete, tuttavia, che una grande quantità di pene deriva dalle nostre stesse azioni o da quelle di altri e che, in un mondo in cui gli esseri umani esercitano il libero arbitrio, il dolore è inevitabile. Comprendete, inoltre, che se Dio è reale spesso i suoi propositi non saranno identici ai nostri. Benché la cosa sia difficile da accettare, una totale assenza di sofferenza potrebbe non recare benefici alla nostra crescita spirituale.

Provate disagio ad accogliere l’idea che gli strumenti della scienza siano insufficienti per rispondere a una domanda importante? Questo è un problema particolarmente sentito dagli scienziati, che hanno dedicato la loro vita alla valutazione sperimentale della realtà. Da tale punto di vista, ammettere l’incapacità della scienza di rispondere a tutte le domande potrebbe ferire il nostro orgoglio intellettuale; ma è qualcosa che dev’essere riconosciuto, interiorizzato e studiato.

Questa discussione sulla spiritualità vi infastidisce, poiché sentite che ammettere la possibilità dell’esistenza di Dio potrebbe richiedere un cambiamento nei vostri piani di vita e nelle vostre azioni? Riconosco chiaramente questa reazione, avendola sperimentata di persona nel mio periodo di «cecità volontaria», e tuttavia posso testimoniare che giungere a una conoscenza dell’amore e della grazia di Dio è qualcosa di liberatorio, non di costrittivo. Dio opera nel campo della liberazione, non in quello dell’incarcerazione.

E infine, non vi siete mai riservati il tempo per riflettere seriamente sulla visione spirituale del mondo? Nella nostra epoca, troppi di noi passano precipitosamente da un’esperienza all’altra, cercando di negare il fatto che siamo mortali e rimandando qualsiasi seria considerazione di Dio a un qualche momento futuro in cui immaginiamo potranno esservi le condizioni giuste per farlo.

La vita è breve. Nell’immediato futuro il tasso di mortalità sarà di uno a uno. Aprirsi alla vita dello spirito può arricchire in maniera inaspettata. Non rinviate la riflessione su questi argomenti di eterno valore al momento in cui, per esempio, una qualche crisi personale o l’avanzare dell’età non vi costringano a riconoscere di essere impoveriti a livello spirituale…

NOTE: [1] Copernico, citao in Douglas G. Frank., «A Credible Faith», in Perspectives on Science and Christian Faith(vol. 46, 1996) pp. 254-255


Francis S. Collins, Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia tra scienza e fede, Sperling & Kupfer Editori, Milano 2007, pp. 235-237