Uno dei temi più cari alla Parola di Dio, e non solo ad Essa, è quello dell’amicizia.

Parlare di rapporti che diventano delle vere e proprie relazioni profonde, al punto da fondere aspettative ed esigenze interiori, sembra essere particolarmente importante in una società dove ogni amicizia appare “inquinata” dallo spettro della “sessualizzazione di ogni attività”.

Nelle nostre città l’amicizia non è più concepita secondo i canoni che nei secoli passati ne avevano esaltato la bellezza oltre che la necessità.

La domanda con cui il sociologo Francesco Alberoni apre la sua opera sull’amicizia è la seguente: “Esiste ancora l’amicizia nel mondo contemporaneo?”. Nella sua risposta emerge, con una nota di perplessità, la mancanza della vera amicizia.

La sua analisi inizia dal considerare i reali legami che dominano nelle relazioni: l’utile economico ed il mercato.[1]

Anche Marcella Fanelli, nel suo ottimo libro sulla solitudine, nella sezione dedicata all’amicizia, ricorda come sia assolutamente impossibile ai nostri giorni ritrovare profondi ed intimi legami di amicizia tra i ragazzi: tutto è avvolto dal velo del sesso, e questo ha turbato, o meglio sconvolto, quella interiore ed emotiva esperienza di sana amicizia che ha sempre caratterizzato l’uomo nel corso della sua esistenza.

Infatti, la Fanelli scrive: “In questa confusione di significati avviene che si attribuisca all’amicizia qualcosa che non le appartiene e la snatura. Ciò si è verificato in special modo negli ultimi decenni, durante i quali abbiamo ripetutamente udito o letto affermazioni le quali negavano che potesse esservi amicizia senza un rapporto sessuale; sono stati passati in rassegna vari personaggi storici, a cominciare da quelli biblici come Davide e Gionathan, e risalendo via via su per i secoli, dando ampie ragioni per dimostrare che le cosiddette amicizie avevano connotazioni erotiche, concludendo che in generale l’amicizia, in sé e per sé, non esista, e forse non possa esistere.”[2]

Eppure, sempre più specifico appare il bisogno di persone che possano essere vicine; con le quali si possa giungere ad essere se stessi.

La nostra società si caratterizza per le numerose vie di comunicazioni sulle quali si fonda: ma d’altro canto nessuna società passata è paragonabile alla nostra nel grado di solitudine ed indifferenza “sociale” che viene sperimentato da ogni singolo soggetto.

Si invocano da più parti soluzioni che siano in grado di ridare all’uomo la dignità di una relazione d’amore con il suo prossimo; ma sembra che nessuno sappia offrire delle risposte soddisfacenti circa le soluzioni da adottare.

C. S. Lewis, autore cristiano, nel suo libro “I quattro amori”, scrive a proposito della mancanza di esempi di vera amicizia: “Tristano e Isotta, Antonio e Cleopatra, Romeo e Giulietta, hanno innumerevoli corrispondenti nella letteratura moderna; Davide e Guonathan, Pilade e Oreste, Orlando e Uliviero, Amico e Amelio no. Agli antichi l’amicizia sembrava, fra tutti gli amori, quello più colmo di felicità e più pienamente umano, la corona della vita e la scuola della virtù. Il mondo moderno, in paragone, la ignora.”[3]

Ormai da più parti ci si è lasciati convincere che non possa esistere una reale amicizia che non possa essere accusata di nascondere, in realtà, un sentimento omosessuale.[4]

Cercheremo, nei limiti di tempo e di vastità dell’argomento, di tracciare alcuni aspetti di che cosa sia l’amicizia nella Scrittura e di cosa implichi l’amicizia nelle nostre relazioni.

L’amicizia è una delle forme dell’amore. Secondo la definizione di un qualsiasi vocabolario della lingua italiana troviamo la seguente definizione: “Sentimento  di affetto, distinto dall’amore, che lega una persona all’altra.”[5]

Le caratteristiche di una simile e quanto mai stringata definizione si sofferma sull’esclusiva limitazione dell’amicizia ad un sentimento di affetto.

L’amore viene, evidentemente, considerato qualcosa di più alto e non paragonabile ad una relazione che possa esserle inferiore per dignità ed espressione. Le cose stanno così?

Personalmente, mi dissocio da una simile definizione, e vedremo che l’amicizia è una delle vie dell’amore.

L’amicizia si manifesta secondo diversi gradi. C’è un’amicizia che è più forte dell’”Amore delle donne” (II° Samuele 1:26); ma c’è un’amicizia che diventa “relazione assoluta” tra un uomo ed una donna, come corona dell’amore nella sua forma più alta.

E’ possibile riferirsi alle numerose affermazioni presenti nel Cantico dei Cantici, dove l’amato e l’amata, desiderandosi si considerano “amico mio” ed “amica mia”.

Ora, il mio obiettivo non è tanto quello di fare un trattato sull’amicizia quanto quello di riscoprire la necessità di ritornare a stabilire quei legami profondi ed intimi di un’amicizia che è benedetta dal Signore, e che è uno degli aspetti dell’umanità condivisa.

Considereremo alcuni brani specifici della Parola di Dio, ed in base ad essi, faremo emergere quegli aspetti che devono caratterizzare un vero rapporto di amicizia.

Dopo aver affermato che l’amicizia è una delle diverse manifestazioni dell’amore, vediamo alcuni brani biblici a riguardo.

Giovanni 15:12-17

Mi propongo di fare solo delle osservazioni generali.

E’ uno dei brani più significativi di tutta la Scrittura. Il contesto è quello dell’ultima cena.

Gesù fa una serie di discorsi molto profondi che lasceranno i discepoli alquanto turbati. La maggior parte delle cose che Gesù dirà non possono essere comprese nella loro portata.

Ed infatti, Gesù annuncia l’opera futura dello Spirito Santo, come l’opera di Colui che guiderà i discepoli nella verità (Giovanni 14:26; 16:12-15).

Ma soffermiamoci su alcuni aspetti di questi versetti.

  • In primo luogo la cornice di riferimento sembra essere la legge, o meglio il comandamento (versetti 12 e 17).

Sembra piuttosto strano, parlando di amicizia, scoprire che si deve cominciare l’argomento parlando di comandamenti.

Un’attenta analisi della legge ebraica conduce verso l’amore del prossimo più che se stessi (Levitico 19:18; Romani 13:8-9; Galati 5:13-15).

Per cui quando si parla di un rapporto d’amore, e l’amicizia vi rientra a pieno titolo, c’è sempre una condizione assoluta che deve determinare la strada per la quale incamminarsi per poter fare bene.

Il comandamento, nuovo come Gesù dirà, diventa la necessaria cerniera che porta due soggetti, o più, a realizzare i benefici di quella relazione che intendono costituire.

Il vero amico può ordinare, e qui prende corpo il senso del comandamento.

Gesù chiama i discepoli amici, ma li considera tali se rispondono al suo comandamento.

Certo, si potrebbe affermare che Gesù può ordinare l’ubbidienza in quanto Dio. Pur rimanendo vera l’affermazione, occorre aggiungere, che la vera relazione di amicizia presuppone un’ubbidienza concreta a qualcuno che noi consideriamo amico.

Non c’è forzatura nell’amicizia, ma vi è la consapevolezza di un’autorità che può agire all’interno dell’amicizia e che si manifesta quale conseguenza dell’amore.

E non mi sembra contraddittoria come considerazione: per esempio, nel matrimonio che può essere definito uno dei gradi più profondi dell’amicizia, se non forse il più profondo, esistono dei ruoli che ne preservano la durata e la forza; così la moglie è sottomessa al marito, che è l’”amico” suo.

Il comandamento è la scelta di camminare nel rispetto della relazione. Diventa importante, quindi considerare la necessità di ubbidire a colui che è mio amico, quando è presente lo schema del comandamento.

La vera amicizia si innesta sulle radici di una reciproca fedeltà, e si caratterizza dalla disponibilità a sottomettersi.

E’ possibile avere disparità nell’amicizia, ovvero diversità di grado e di autorità. Qualcuno ha detto che la vera amicizia si instaura tra persone che si trovano su un medesimo “piano giuridico”, ovvero vivono una relazione paritaria.

Tuttavia, a mio parere, l’amicizia non sempre è una relazione che si realizza tra soggetti che sono “uguali” quanto alle responsabilità ed alle decisioni.

Gesù può chiamare i discepoli “amici”, ma vi è differenza di autorità tra di loro. L’amicizia nasce, o può nascere anche tra due soggetti che non sempre si trovano sullo stesso piano “giuridico”.

Gesù può dire: “Io non vi chiamo più servi”. Egli è nella posizione di primogenito (Colossesi 1:15-21; Ebrei 1:6).

Egli, volontariamente, rinuncia al suo potere di superiorità, ed eleva i discepoli al rango di “amici”. L’amicizia produce proprio questo movimento: si può scegliere, e si dovrebbe scegliere, di “elevare” l’amico alla mia stessa portata.

Non sono io che mi abbasso, ma è l’altro che viene portato al mio livello. Tratto il mio amico come un “mio pari”.

Vorrei essere compreso in quello che dico. Colui che chiama amico l’altro non ha necessità di divenire “inferiore”, ovvero di negare le proprie responsabilità o esigenze di relazione, per poter sperimentare la profondità di un rapporto di amicizia.

Si tratta piuttosto di rinunciare alla propria “superiorità”, per dare vita ad una relazione “paritetica”. In questo senso, il marito ad esempio, cercherà la collaborazione ed il consiglio della moglie. Non cercherà di negare il proprio ruolo, e non cercherà soluzioni “democratiche” per una gestione delle proprie responsabilità, ma ricorrerà all’aiuto della propria “amica” nelle scelte.

L’amicizia è vincolata all’ubbidienza. Il vero banco di prova per saggiare la realtà di un’amicizia è proprio la disponibilità a fare le cose che “vengono ordinate”.

L’amicizia, così come l’amore, sta in piedi o cade proprio sul terreno dell’ubbidienza. “Voi siete”, dice Gesù e non “Voi sarete”, “Se fate”: come abbiamo visto l’amico può ordinare, ha un comandamento.

Colui che vi ubbidisce è amico e rimane nell’amicizia. Chi rinuncia all’ubbidienza, rinuncia all’amicizia. E’ ovvio che il comandamento è la Parola di Cristo (Colossesi 3:16).

Non esistono comandamenti svincolati dalla Parola di Dio; neppure si può pretendere di imporre comandamenti personali.

Solo la Parola di Cristo è sufficiente all’amico per “ordinare” ed ottenere ubbidienza. Le cose che l’amicizia “comanda” non sono altro che cose udite dal “Padre”.

I comandamenti a cui l’amico esige di conformarsi sono i comandamenti uditi da Dio. La legge di Dio è il cemento  dell’amicizia. Ecco perché l’amico può “ordinare” e parlare di comandamenti: la legge di Dio diventa il metro di valutazione degli obiettivi dell’amicizia.

  • L’amicizia è un atto di volontaria, consapevole e ricercata scelta di legarsi a qualcuno. L’amicizia non si impone. Io scelgo gli amici a cui legare le sorti della mia vita.

Ci sono rapporti che non si possono scegliere, sono frutto del nascere e del vivere in una società dove non tutto quello che ci capita è direttamente legato alle nostre scelte: esempio non possiamo scegliere i genitori, oppure i fratelli o le sorelle; entro certi limiti, non possiamo scegliere gli insegnanti ed i compagni di scuola oppure i colleghi di lavoro.

Si tratta di rapporti spesso imposti dal vivere in una determinata realtà. Tuttavia questo non vale per l’amicizia.

Gesù, dice di aver scelto i discepoli, e non questi ultimi sono andati verso di Lui.

Il Signore ha deciso di chiamare quei dodici uomini.

Uno degli aspetti importanti dell’amicizia è proprio il carattere esclusivo di tale rapporto.

Gli amici diventano tali in seguito ad una scelta, che viene fatta in base a determinate caratteristiche.

Una scelta che non lascia lo spazio all’improvvisazione ma che nasce dall’accordo e dalla fedeltà reciproca. Uno degli aspetti più interessanti dell’amicizia è che essa non nasce senza una partecipazione personale che guida verso la scelta di legarsi all’altro.

Ci sono persone che si conoscono da anni e non sono amici, poi, accade qualche cose che permette di passare dal grado di estraneità a quello di intimità mediante un impegno di amicizia. L’amico è scelto. Chi desidera costruire amicizie vere e durature deve considerare la necessità di fare una scelta valida.

  • L’amicizia è esclusiva, ma favorisce l’espandersi e l’inserimento di altri nella propria cerchia.

L’amico è il “mio amico”: tuttavia, la vera amicizia tende ad allargare i propri confini.

Il donarsi dell’amico si finalizza all’allungamento verso una maggiore realizzazione del legame dell’amicizia.

Si è amici di un amico per volta: è impensabile, come nella mentalità corrente si considera, avere una miriadi di amici, ma che realmente si riducono a pochi conoscenti, i quali non possono essere considerati “amici”.

L’amicizia si coltiva attraverso interessi, obiettivi e principi comuni che diventano il bagaglio per far crescere il rapporto nella sua interezza. Ad esempio, Gesù dice dei discepoli che essi andranno e porteranno frutto. Ci si deve chiedere qual è questo frutto? Altre relazioni di vita.

I discepoli sono gli ambasciatori della riconciliazione (II° Corinzi 5:17-21), e come tali hanno una relazione esclusiva con Cristo, ma non si fermano all’amicizia “egocentrica”.

Il loro compito è di portare altri uomini e donne nel rapporto ci un’amicizia concreta con Cristo. Certo, ognuno di essi vantava la propria relazione personale con il loro Maestro, ma tutti erano parte di quella comunione di fede che li caratterizzava come “amici” di Gesù.

  • L’amicizia non si prefigge una statica e sterile relazione; ma al contrario, chiede e cerca una maturità continua. L’amico dona tutto sé stesso per vedere la maturità dell’altro.

E’ pronto all’eclissi di sé stesso pur di gioire nel perfezionamento dell’altro (Giovanni 3:30).

La gioia dell’amico si completa nell’espletamento del proprio compito e nel constatare la crescita e la perfezione di colui che è oggetto delle sue attenzioni.

Nell’amicizia non c’è spazio per la “gelosia”. La gelosia è la distruzione dell’amicizia, così come lo è dell’amore in generale. Vorrei spiegarmi meglio.

C’è un grado di “gelosia” che è necessaria al rapporto. Ciò che mi appartiene lo preservo da ogni possibile intrusione esterna che ne possa mettere in pericolo lo svolgersi.

Ad esempio, nel rapporto matrimoniale c’è un grado di gelosia necessario: del resto la gelosia è il sinonimo di garanzia del valore della relazione.

Ci si unisce a tal punto da divenire una sola carne tanto nella sfera fisica che in quella emotiva, così si stabilisce una comunione assoluta ed indivisibile, che vieta a qualunque altro soggetto di beneficiare delle stesse possibilità.

L’infedeltà è giustamente vista come un attentato all’unità ed alle promesse espresse nell’impegno matrimoniale.

Il Cantico dei Cantici ci illumina a riguardo: l’”Amico mio” è riconoscibile tra diecimila. La sua voce è musica per colei che lo desidera; e non solo ma il profumo che emana l’amico è il solo che possa accendere la passione ed il desiderio.

C’è una gelosia che esclude tutti gli altri dal godere delle bellezze della relazione. In questo senso l’amicizia matrimoniale è esclusiva in modo che non concede deroghe: non c’è spazio per un’espansione della conoscenza.

Ma vi è un tipo di gelosia che soffoca la relazione di amicizia oppure il matrimonio. Non si tratta più di preservare il rapporto dall’intrusione di esterni, ma di una vera e propria patologia, che alla lunga sfilaccia i legacci del rapporto, e lo costringe ad un deterioramento progressivo.

E’ il tipo di gelosia che non cammina a lato, ma che considera l’altro come l’oggetto di proprietà personale e, come tale, goderne senza essere disposto alla fiducia.

Questo tipo di gelosia è mancanza di fiducia verso l’altro. E’ condito dalla paura che l’altro non sia fedele e che se, lasciato a sé stesso, prima o poi abbandonerà per altri.

Invece, l’amicizia è condivisione di ciò che si ha. In questo senso non si tratta della relazione tra il discepolo ed il maestro. In tal caso si presuppone una distanza necessaria dettata dai ruoli.

Deve rimanere una distanza che è alla base dell’apprendimento. Non solo, ma i concetti di autorità e di sottomissione sono necessariamente esasperati in vista della formazione.

Come tra padre e figlio, non c’è spazio per l’amicizia, così come la stiamo delineando. Ci sarebbero degli errori difficilmente riparabili, se all’interno di questo rapporto, ci si lasciasse andare, anziché al processo educativo, ad una specie di intimità non utile che priverebbe il figlio dei necessari punti di riferimento in vista del suo futuro ruolo di “maschio” nel mondo.

Tuttavia, la vera amicizia è disposta a condividere tutto ciò che possiede. Far “conoscere”, far “partecipare” alla propria intimità. L’amicizia prepara ad una relazione più profonda e superiore. Gesù presenta il Suo nome come la concreta possibilità di ricevere un’amore completo da parte del Padre; e non solo ma risposte alle preghiere.

L’amicizia per Gesù sfocia, o perlomeno dovrebbe sfociare, nella vera relazione in cui ogni uomo possa sperimentare una totale abbondanza e vitalità. Si tratta della relazione con Dio.

E’ questo lo scopo della venuta di Cristo: essere la propiziazione per i nostri peccati (I° Giovanni 2:1-2). Attraverso l’opera di Cristo, gli uomini sono riconciliati a Dio.

Non vi è più spazio per l’estraneità: con Cristo ed in Cristo l’uomo può giungere all’essenza della propria esperienza personale.

Essere in relazione con Colui che è il Signore dei cieli e della terra. Per cui ogni amicizia, perlomeno in campo cristiano, deve essere caratterizzata dal desiderio di spingere l’amico sempre più verso la comunione con il Signore della gloria.

  • L’amicizia ha le sue radici in una relazione “preesistente”.

Gesù fa conoscere ai suoi “amici” tutto ciò ha udito presso il Padre.

Quindi Gesù agisce sulla base di un altro rapporto che è prima della relazione che stabilisce da quel momento in poi con i discepoli.

L’amicizia non si cerca per avere delle sicurezze o per realizzarsi. Termine quest’ultimo molto caro alle masse dei nostri tempi.

Tutto è visto in funzione personale. Si cerca in ogni cosa la propria realizzazione: allora pure l’amicizia corre il pericolo di essere coltivato per il solo scopo di condurre ad un’autogratificazione che produce benessere individuale.

Al contrario, l’amicizia è la conseguenza di un’amore preesistente che la qualifica e le dona le basi per crescere e svilupparsi. Come dice l’apostolo Giovanni: “Noi amiamo perché Egli (Dio) ci ha amati per primo” (I° Giovanni 4:19).

L’amicizia segue l’amore e la profonda intimità che abbiamo sperimentato presso il Padre. Non amo per essere amato, ma amo in conseguenza dell’amore che è stato manifestato nei miei riguardi da Dio. La vera amicizia può iniziare e maturare solo se non è posta quale condizione per dare “valore”, ma perché è l’espressione di un significato ed una dignità che la precede.

  • L’amicizia ha sempre un contenuto “didattico”.

Le “cose udite dal Padre” sono al centro dell’intera sezione del Vangelo di Giovanni che va dal capitolo 13 al capitolo 17.

Niente procede senza l’istruzione. L’amicizia si giova di un’eredità da trasmettere, di un corpo di verità dalle quali non si può prescindere.

Non è affatto vero che l’amicizia non deve avere in se stessa un progetto di istruzione e formazione. E’ vero proprio il contrario.

Parte dell’amicizia è proprio l’insegnamento (II° Timoteo 3:16-17). Gesù chiama i suoi discepoli “amici” perché ha insegnato loro tutte le “cose che ha udite presso il Padre”.

Il processo di istruzione a cui Gesù sottopose i discepoli è illustrativo: pretendere di vivere l’amicizia come un semplice rapporto di “conoscenza reciproca” che lascia intatti il mondo e l’esperienza dei due o più soggetti coinvolti non rientra affatto nella definizione di amicizia. L’amico può crescere proprio grazie alle cose che io gli trasmetto. Sarebbe egoistico lasciare l’altro nell’ignoranza delle cose che io conosco.

Se è vero che l’amicizia è partecipazione, condivisione allora il processo di trasferimento di ciò che io conosco a lui, diventa il momento più importante di una relazione che non rimane ai margini ma che cresce in vista della reciproca maturità.

  • L’amicizia non è priva di un prezzo. Il costo che richiede è parecchio alto.

Addirittura può richiedere la stessa vita. Gesù dice che nessuno ha amore più grande che dare la propria vita per gli amici.

E’ un’affermazione “pesante” e che non lascia molto spazio alle repliche. Chi vuole iniziare un progetto di vera amicizia deve mettere in conto la possibilità reale e concreta di dover giungere all’estremo atto di sacrificio.

In una società come la nostra, dove ogni sofferenza è bandita, e dove gli altri sono solo il tramite per la mia felicità, essere disposti a vivere l’amicizia così come Gesù la prospetta è una vera e propria sfida alla sensibilità corrente.

Eppure nulla che possa essere chiamato amicizia si può accontentare di meno del sacrificio. Tutta la vita cristiana dovrebbe essere vissuta all’ombra della croce.

L’esempio del servizio passa per la sofferenza suprema, che giunge a negare ogni valore alla propria vita, in funzione del prossimo. Gesù rappresenta il supremo esempio di donazione assoluta. Egli ha dato la propria vita. In nessuna pagina del Nuovo Testamento si avverte tensione più grande, ed altrettanto convincimento più profondo, della necessità di essere disposti a “rinnegare” sé stessi ed a seguire Gesù nel percorso di liberazione dal proprio egoismo.

Se non si riflette a sufficienza su questo punto si corre il rischio di banalizzare le richieste dell’amicizia. Voler essere amico di qualcuno senza la necessaria considerazione di questo aspetto, e senza porre mente al prezzo da pagare, è una “pazzia” secondo la prospettiva dell’esperienza di tutti gli autori del Nuovo testamento.

E’ proprio l’immagine della vita donata che diviene motivazione per intraprendere ogni relazione con il proprio prossimo. Dovremmo molto riflettere su questo aspetto: lasciare ad un momento successivo la valutazione dei costi che l’amicizia richiede, significa voler iniziare a costruire una torre senza verificare se abbiamo i mezzi necessari per portare a termine la costruzione (Luca 14:28-30).

  • L’amicizia “pretende” un frutto.

Una vera amicizia cresce e manifesta la realtà di ciò che è. Non è possibile vivere un’amicizia senza che da essa scaturiscano dei frutti concreti e segnali di crescita.

Non ci si può dire amici, e non impegnarsi nell’offrire i segni di quell’amicizia. Inoltre, l’amicizia sorge proprio perché se ne ottengano dei frutti. Voglio spiegare bene il concetto.

L’amico si impegna in un progetto di fedeltà ad iniziare un percorso che passa per la donazione totale di sé stesso; così, nel rapporto ogni cosa lascia intravedere la necessità che ad ogni singolo atto corrisponda una parallela azione che garantisca come l’amicizia stia diventando sempre più profonda.

Il frutto non è altro che la manifestazione concreta della realtà dell’amicizia. Gesù invita i discepoli a portare frutto. Ciò significa che i segni dell’amicizia sono reali dalle conseguenze che ne derivano.

Se i discepoli avessero preso sul serio l’amicizia senza però impegnarsi nell’ubbidienza al comandamento, la stessa relazione sarebbe stata intaccata dalla sterilità oltre che dalla disobbedienza. Essere pronti a verificare in ogni momento lo stato dell’amicizia è condizione essenziale per tastare “il polso” del valore dell’intero progetto.

I° Samuele 18:1-4

Il secondo brano che prendo in considerazione per discutere su brevi aspetti dell’amicizia è il famoso inizio del rapporto tra Davide e Gionathan.

Si tratta di un episodio noto a molti, ma nonostante tutto è sempre ricco nei suoi tratti essenziali. Ancora una volta si tratta di alcuni cenni.

  • L’amicizia nasce sulla scorta delle parole.

Sono le parole a porsi come base per l’amicizia. Da come un uomo parla si comprende chiaramente il corso e l’indirizzo che dona alla propria vita.

Da come si propone nel dialogo si possono intendere gli obiettivi ed i traguardi che insegue. E non solo, ma è possibile rendersi conto delle reali motivazioni che lo spingono all’azione.

E’ solo dopo aver ascoltato Davide, che Gionathan si lega nell’amicizia. Sono stati i discorsi di Davide a far scattare il desiderio nel figlio di Saul di unirsi in un rapporto di amicizia.

Dalle parole emerge pure il carattere del soggetto. In ogni relazione, le parole sono essenziali. Solo dopo aver udito le parole dell’uomo, si può valutare l’uomo stesso.

C’è un profondo legame tra i pensieri e le parole. Ogni essere umano ha dei ragionamenti che lo spingono all’azione; si agisce in base a dei presupposti. E questi vengono fatti conoscere attraverso una serie di parole che hanno lo scopo di mostrare all’esterno quali sono le motivazioni dell’uomo che agisce. Gesù stesso poté affermare che dall’abbondanza del cuore parla la bocca. Quello che è custodito nell’intimo dell’uomo si esprime attraverso la conversazione.

E’ pur vero che spesso le reali motivazioni di un uomo possono essere nascoste; e quindi le sue parole possono essere “bugiarde”. Tuttavia vi è un modo per verificare tutto ciò: è sufficiente osservare il suo comportamento nel tempo, ed allora apparirà chiaro ciò che pensa e crede.

Da come agisce un uomo comprendo il suo pensiero. Così è per l’amicizia: occorre prestare molta attenzione alle parole pronunciate.

Nella Parola di Dio viene riservato un posto particolare alle cose che vengono dette. Ad esempio, si fa menzione della necessità di non mentire ma di dire sempre la verità al prossimo (Efesini 4:25); si riconosce il potere di vita o di morte delle parole (Proverbi);  dalle parole dette si sarà giudicati (Matteo); le parole possono giustificare l’uomo o condannarlo (Romani 10:13).

I versetti si potrebbero moltiplicare. Gionathan ascolta le parole di Davide, e quello che esprimono e contengono gli è sufficiente per “impegnarsi” in un’amicizia con lui.

  • L’amicizia, come l’amore, appare un atto volontario, tuttavia, si tratta un profondo atto intriso di emotività.

Gionathan si “sentì” legato nell’anima. C’è affinità di carattere e unità di intenti.

La Scrittura usa il termine “animo” o “anima” (in greco psiukè) proiettando tutta una serie di significati e di valori interpretativi.

L’anima è l’uomo interiore. E’ la personalità di un soggetto così che le sue motivazioni, la sua volontà ed i suoi sentimenti trovano la loro dimora nel suo animo. Pure i desideri e le passioni sono parte integrante dello spirito dell’uomo.

L’anima rappresenta il contenitore emotivo dell’uomo che vive, pensa ed agisce. Non può nascere una vera amicizia se non vi è pure questa azione emotiva. C’è un incontro che agisce a livello interiore. Voglio spiegare meglio ciò che intendo.

Non sto affatto sostenendo che l’amore deve essere sempre emotivo per poter essere espresso. Questo pensiero contrasta con tutto l’insegnamento della Parola di Dio che vede l’amore come un impegno volontario che si attua indipendentemente da ciò che “sento o meno”.

Il servizio è una questione di volontà non di sentimenti. Tuttavia, ad esempio in una relazione profonda che richiede una completa donazione di sé all’altro, anche l’incontro dell’attrazione interiore gioca un ruolo importante.

Prima di giungere ad un matrimonio, occorre certamente essere attratti dalla persona che poi diverrà oggetto delle mie attenzioni e del mio amore, fatto di azioni concrete che mireranno al suo bene; non posso agire come un automa che incontra un uomo oppure una donna, e prenderà la decisione di cominciare un progetto insieme, senza essere comunque coinvolto anche a livello emotivo.

Ci saranno delle caratteristiche che attireranno il mio sguardo; che mi guideranno a pensare come poter vivere insieme. C’è necessità di affinità. Si tratta di un aspetto importante anche nel campo delle relazioni di amicizia.

  • Proseguendo nella lettura si può scoprire un carattere necessario dell’amicizia: amare l’amico come l’anima propria.

Fare dell’amico l’altro me stesso. Avere a cuore tutta la sua persona, allo stesso modo della propria. Amicizia ed amore sono le facce di una stessa medaglia.

Si crede che amicizia ed amore siano due cose distinte e distanti tra loro. Nulla di più errato. L’amicizia è una delle manifestazioni dell’amore.

Diversa può essere la relazione oggetto dell’amicizia. Gionathan lega la sua sorte a quella di Davide.

Così l’amico deve ragionare. Il messaggio della salvezza operato da Cristo prevede una completa e piena identificazioni con gli uomini peccatori.

Gesù si identificò in ogni cosa (eccezione fatta per il peccato) con l’essere umano. L’incarnazione rappresenta, a ragione, l’esempio per eccellenza per affermare questo aspetto di “empatia” (ciò capacità di immedesimarsi con le difficoltà e l’esigenza dell’altro, caricandomi il suo peso e portandolo insieme a lui) che caratterizza l’opera di Cristo.

Gionathan fu disposto a condividere la propria vita, da quel momento in poi, con Davide in un rapporto che andava oltre la semplice conoscenza. Era condivisione di tutta la propria personalità. Ecco perché appare estremamente importante saper valutare le persone con le quali vorrò legarmi in un rapporto di amicizia.

Nulla di più pericoloso è l’atteggiamento di chi vuole un’amicizia senza considerare l’enorme pericolo a cui va incontro se non discerne i veri caratteri dell’amico. Come per il matrimonio, o per una qualsiasi associazione, anche per l’amicizia vale il principio espresso da II° Corinzi 6:14-18. Non può esserci vera amicizia tra soggetti che hanno diversi metri di giudizio e diversi valori. Questo non significa affatto che senza la fede io debba guardare gli increduli come persone da disprezzare, ma non potrò avere rapporti talmente profondi che giungano fino alla condivisione della mia “anima”.

  • Dal brano considerato emerge un principio fondamentale: c’è un’amicizia che è esclusivamente “omologa”, cioè un’amicizia tra soggetti dello stesso sesso.

Non parlo del rapporto matrimoniale, che ho definito come il livello più profondo di amicizia (sotto alcuni aspetti), ma parlo di un’amicizia come esperienza di un uomo o donna che vive al di fuori della sfera della sessualità.

L’amicizia, nel senso descritta, è possibile solo tra persone appartenenti alla stessa categoria sessuale. Questo è il tipo di amicizia che si incontra nella Scrittura.

Mi ripeto, non stiamo parlando di una definizione generica di amicizia, quanto di quella relazione che nasce e che guida molti aspetti della vita. Si parla dell’amico come l’altro te stesso.

La vera amicizia, quella che giunge fino all’intimità più profonda, è possibile solo tra soggetti dello stesso sesso. Vi è il matrimonio come assolutizzazione dell’amicizia tra i diversi sessi.

Ci si può illudere che sia possibile creare un reale legame di amicizia tra un ragazzo ed una ragazza. Non credo ad una simile possibilità per la semplice ragione che l’amicizia prevede un grado di intimità tale e senza limiti di conoscenza (nel senso buono del termine), che la relazione potrebbe scivolare lungo i binari dell’imbarazzo, o addirittura lasciare spazio ad altre possibilità “sconvenienti”.

Per quanto appare, mi sembra di poter definire l’amicizia come il vincolo che lega due uomini o due donne, che si “impegnano” a vivere la fedeltà di un rapporto che li metterà in grado di essere preparati per la maturità della vita.

  • L’alleanza è il fine dell’amicizia.

Il vocabolario della lingua italiana Zingarelli definisce in questi termini l’alleanza: “Accordo con cui due o più soggetti si impegnano ad un reciproco aiuto per fini politici; unione creata per scopi di interesse comune; unirsi”.

Il vocabolario Garzanti invece afferma: “Reciproco aiuto e sostegno per il raggiungimento di determinati fini politici.”

L’alleanza è un patto, un impegno, una dichiarazione programmatica di intenti comuni. L’amicizia presuppone l’alleanza per esistere e continuare in seguito a produrre i suoi effetti.

Non ci può essere spazio per una presunta amicizia svincolata da un impegno formale. Il patto tutela l’amicizia, perché funge da atto “giuridico” che garantisce che i suoi diritti e doveri vangano considerati all’interno di una struttura specifica, che guidi l’armoniosa e piena realizzazione dei progetti e delle ambizioni che si prefigge.

Il patto libera dal dubbio, consente e costruisce la fiducia, fa sbocciare l’intimità. Il patto inoltre condanna ogni atto di tradimento.

L’alleanza è richiesta dall’amore. Chi ama dispone un atto bilaterale di impegno. Senza ciò vi può essere l’atto emotivo (legarsi nell’anima), ma risulterebbe impossibile godere della profondità della relazione senza l’atto “legale” (impegno) che segue quello emotivo.

L’etimologia della parola “patto o alleanza” deriva da un termine ebraico berith, mentre nella lingua greca diathekè. Quest’ultima parola si lega al verbo tithemi che significa deporre, mettere giù ma pure ordinare, ingiungere, disporre.

Così la parola diathekè (da dia che è preposizione che significa “attraverso” e tithemi) richiama alla mente l’immagine di ordinamento, disposizione, testamento, patto, convenzione, accordo.

Si tratta di un impegno volontario, vincolato che si esplica in direzione di un preciso ordine che deve essere assoluto.

Si ordinano i “fini” dell’amicizia; si determinano e si distribuiscono le “regole” dell’alleanza. L’alleanza è la formalizzazione dell’accordo emotivo attraverso la distribuzione dei diversi contenuti e delle diverse leggi dell’impegno.

In I° Samuele 20:8, allorché Davide deve scappare da Saul, parla dell’ingresso nel patto dell’amicizia a cui Gionathan lo ha introdotto. Quel patto è chiaramente la base che permette a Davide di reclamare la bontà a Gionathan. Quindi l’amicizia è un ingresso nell’alleanza; che si determina attraverso un impegno chiaro e vincolante. L’amicizia è impegno, apertura e cura.

  • L’amicizia si “spoglia” per l’altro.

E’ lo stesso detto a proposito dell’amicizia che cerca la maturità attraverso il trasferimento di ciò che si conosce all’amico. Vedere Giovanni 3:30.

Tuttavia vi è qualcosa in più rispetto al brano precedente. L’amicizia si priva delle “proprie armi” per rivestire l’altro.

L’amicizia offre dei doni propri, che sono il segno della propria dignità. Gionathan è il figlio del re, e come tale erede al trono. Ma egli, dalle parole e dal patto, ha compreso che Davide è una “persona speciale”, unta dal Signore.

Allora Gionathan, è pronto a divenire il “secondo” dopo Davide. L’amicizia presuppone, altresì, una precisa consapevolezza che l’altro può essere superiore a me, e come tale ne saprò valorizzare le qualità.

E’ possibile che l’amico sia più capace di quanto possa esserlo io: l’amicizia non “preclude” la possibilità che l’altro raggiunga posizioni più “importanti”. Il Signore concede a suoi figli doni e talenti diversi. Nessuno è uguale all’altro.

E pure i compiti e le mansioni sono diverse. La vera amicizia tiene conto delle capacità dell’altro e le esalta in modo che l’amico possa raggiungere i traguardi che il Signore ha stabilito per lui.

  • L’amicizia è possibile solo su una stessa base di partenza.

Sono i valori spirituali quelli che fanno da fondamento per l’amicizia. Ecco perché è assolutamente importante scegliere gli amici all’interno della fede.

Una vera e profonda amicizia si sviluppa e cresce solo su basi e valori comuni. Davide e Gionathan hanno lo stesso Signore e perseguono gli stessi obiettivi, ecco perché la loro amicizia si “riconosce”.

Non sto affermando che colui che non ha la fede non possa essere mio amico o non possa sperimentare l’amicizia: gli esempi della storia greca ci mostrano il contrario.

Tuttavia, la vera amicizia che nasce dallo Spirito Santo è possibile all’interno della stessa famiglia. Alla lunga le differenze di visione e di valori, nonché di obiettivi verranno fuori e mostreranno i limiti di legarsi con persone che non hanno la stessa nostra base spirituale.

  • Altri brevi aspetti dell’amicizia che emergono da questo brano sono: l’amicizia si tutela nei confronti di tutti.

Gionathan prende chiara posizione in favore di Davide allorché comprende che il cuore di Saul non è con il suo amico.

Gionathan si distanzia da suo padre e si schiera in favore dell’amicizia e del suo patto con Davide (I° Samuele 20:9).

Ancora l’amicizia cresce e si rafforza anche nella lontananza. Lo spazio che separa gli amici non può determinare un affievolimento del sentimento dell’amicizia. Anche da lontano, l’amico è parte del mio patrimonio emotivo ed esperenziale. Ciò che mi ha dato, i contributi alla mia crescita, nonché le situazioni vissute insieme non cessano di produrre effetti anche nella lontananza.

Una caratteristica dell’amicizia è che il tempo e la distanza non la scalfiscono. Quando gli amici si rivedono riprendono il percorso da dove lo avevano interrotto.

Così è per Davide e Gionathan: dopo la fuga di Davide i due non si incontreranno più; eppure la loro amicizia ha ancora mostrato i segni della sua forza. Lo possiamo vedere nell’elogio che Davide scrisse in occasione della morte di Gionathan.

Vi sono altri aspetti dell’amicizia che andrebbero considerati.

Ad esempio l’affermazione di Proverbi 17:17: l’amico è un fratello nato per la sventura: egli “ama” in ogni tempo. Quindi non ci sono condizioni favorevoli per l’amicizia. Ogni “tempo” è oggetto dell’amicizia.

Inoltre si può considerare il monito del libro dell’Ecclesiaste. “Guai a colui che è solo” (Ecclesiaste 4:7-12).


[1] F. Alberoni – L’amicizia – Ed. Garzanti

[2] M. Fanelli – Solitudine nemica, solitudine amica – ed. GBU

[3] M.Fanelli Op. Cit.

[4] M. Fanelli Op. Cit.

[5] M. Fanelli Op. Cit.