Ci sono temi ed argomenti in cui ci troviamo coinvolti, e che ci toccano in modo molto vivo. E l’amore appartiene a questa categoria di soggetti.

Molti hanno cercato di definire, come a tentoni, il significato profondo dell’amore. Le biblioteche sono piene di libri, più o meno popolari, che cercano di descrivere e spiegare cosa l’amore sia.

Alcuni hanno tracciato i segni indelebili di parole o di sentimenti; altri, per contro, si sono improvvisati pensatori allo scopo di giungere a descrivere in modo tangibile e concreto quello che per definizione sembra essere indescrivibile: l’amore!

Anch’io ho voluto cimentarmi in questa impresa: dare una serie di definizioni; ed ho scelto di farlo non con parole mie, ma cercando di “carpire” le mie informazioni attingendole da un libro antico, ma la cui saggezza rimane immutata nel tempo.

E’ la Bibbia. Forse alcuni storceranno il naso al solo pensare alla Bibbia come ad un testo da cui poter trarre indicazioni utile per definire cosa sia l’amore e come si manifesti.

Se volete seguirmi in questo percorso, vi prego di farlo in punta di piedi e dotandovi di una Bibbia, accompagnatemi.

Avremo come base per le nostre riflessioni la prima lettera dell’apostolo Giovanni, e poi ci arrampicheremo lungo le alte pareti di altri testi biblic, che verranno suggeriti nelle parentesi.

Non mi soffermerò sull’amore come sentimento o sull’amore che spinge un uomo ed una donna ad iniziare un percorso di vita insieme, ma piuttosto sull’amore come stato o condizione della vita.

Da cosa iniziare? Se mi si permette, visto che parliamo di amore vorrei iniziare dalla fonte. Nella Scrittura, Dio è amore (I° Giovanni 4:8), allora per comprendere che cosa l’amore è oppure a che cosa posso paragonarlo, occorre che io mi rivolga a Lui per averne le coordinate specifiche.

Allora il Dio che si è rivelato nella Bibbia è un Dio che ama. L’amore è una delle sue prerogative. Ora, per non correre il rischio di confondere le idee, voglio premettere che l’amore non è Dio, ma che Dio è amore. La consapevolezza che spinge Gesù a chiedere al Padre, è la piena convinzione di essere da “sempre” in relazione con Lui: e non si tratta di una semplice conoscenza, ma di un’intimità così chiara che Gesù può dire “Tu mi hai amato prima della fondazione del mondo”.

E’ ovvio che non voglio fare riferimento alle implicazioni profonde di questo brano, ma solamente a come l’amore che Dio può offrire è quel tipo di amore che trova la sua origine in Lui stesso e che si estende a tutto ciò che entra nella Sua sfera di azione.

Dio ama, e come tale dona a coloro che lo conoscono quella possibilità e quella capacità di “imitarlo” a tal punto da permettere loro di vivere lo “stesso amore”.

Ora sono numerosissimi i brani biblici che confermano questo aspetto di Dio. E non solo, ma vi sono altrettanti numerosi brani che ci parlano di come Egli abbia trasferito il Suo amore anche ai suoi.

Ad esempio Galati 5:22 parla del frutto dello Spirito Santo (che è la terza persona della Trinità quindi Dio), e la prima delle caratteristiche di questo frutto è proprio l’amore: ma di quale amore si tratta? Ma certamente dello stesso amore di cui il Padre ci ha amati dandoci di essere chiamati figli di Dio (I° Giovanni 3:1-3).

E non solo, ma l’apostolo Paolo dice che l’amore di Dio è stato sparso nei nostri cuori per mezzo dello Spirito Santo (Romani 5:5).

Allora cominciamo con il capire che Dio è amore, e che tutti quelli che entrano in un rapporto vero e vivo con Lui sono messi in condizione di essere amati in modo pieno e di amare, a loro volta, in modo altrettanto pieno.

Quali sono le caratteristiche di questo amore? Cerchiamo di rispondere.

L’amore è sempre identificato nella Scrittura con il sacrificio di sé (Giovanni 3:16). Infatti, quando la Bibbia vuole descrivere l’amore non si concentra tanto sul come è fatto, ma piuttosto sul come si manifesta.

Allora, nella Bibbia non si risponde alla domanda che cos’è l’amore, quanto come l’amore si manifesta, e così dimostrare che esiste.

L’amore è descritto con una parola specifica agape. Si tratta di un termine particolare. E’ sufficiente dire, che nel greco classico non esiste questa parola, e che è stata usata dagli autori del Nuovo Testamento per descrivere il particolare amore che è stato manifestato da Dio verso gli uomini.

Ci sono altri termini traducibili con la parola “amore”, ma i loro tratti non riescono ad esprimere la forza del pensiero così bene come la parola agape. L’amore “agape” è in primo luogo amore che soffre e si offre.

Almeno questo è uno dei caratteri: e lo si vede proprio nel brano citato prima, cioè Giovanni 3:16: “Poiché Dio ha tanto amato il mondo che ha dato il Suo Unigenito Figliolo affinché chiunque creda in Lui non perisca ma abbia vita eterna”. Allora la connessione è molto chiara. Amare significa in primo luogo “dare”.

Che cosa si dona? Ogni cosa può essere oggetto di donazione nell’amore, ma in modo particolare siamo chiamati a donare la “nostra stessa vita”.

Quando consideri il tema dell’amicizia, questa caratteristica del donare “sé stessi” appare molto importante.

Ma, scorrendo alcune definizioni della Bibbia, scopriamo che “amare” significa pure produrre l’effetto di ristabilire un legame interrotto per una colpa (Romani 5:8-11).

Amare significa pure mettere qualcuno in relazione con qualcun altro. Si tratta di una caratteristica importante: Gesù è lo strumento attraverso il quale Dio ha riconciliato a sé gli uomini (II° Corinzi 5:17-21).

C’era inimicizia tra Dio e la creazione a causa del peccato. Era necessario un vero e proprio atto di amore per ritornare ad essere in relazione con Dio. Un atto di amore, che tuttavia non trascura l’esigenza di una giustizia; ma che nonostante tutto va oltre, dichiarando giusti mediante il sacrificio di Cristo.

Allora la condizione dell’amore è una condizione che è disposta a soffrire fino al completo dono di sé e che ha la capacità di porre in relazione soggetti che erano nemici ed ostili tra di loro.

E mi sembra che già si cominci a delineare un quadro limpido. Ma questo mi porta a considerare un altro aspetto. L’amore nella Scrittura è una condizione nella quale si è oppure non si è.

Mi spiego meglio. Nessuno nasce nell’amore e vive nell’amore, ma è trasferito, se mi si permette questo termine, da un “regno di tenebre” ad un regno dove ogni cosa è sottoposta al Figlio dell’Amore (Colossesi 1:13).

L’amore è una condizione che si acquisisce per effetto di uno spostamento di luogo. Nessun uomo per natura è nella condizione dell’amore (e badiamo, non sto dicendo che l’uomo senza Cristo non possa amare o non sia in grado di percepire i tratti dell’amore così come Dio lo ha manifestato; sarebbe un errore oltre che segno di grande presunzione affermare che solo il credente ami; tuttavia si sta parlando di una stabile e duratura realtà libera da ogni atto di egoismo), ma ne viene introdotto per mezzo di un’opera esterna a lui.

E’ la grazia di Dio che permette all’uomo distante ed incapace di “amare” realmente, di essere posto in relazione con Lui e sperimentare così il vero amore e poterlo donare a chi lo circonda.

Allora si può affermare che chi ama è nella condizione di poterlo fare grazie all’intervento di un’azione che procede dall’esterno. Infatti chi è da Dio ama, chi non ha conosciuto Dio è in un’altra condizione: l’odio (I° Giovanni 3:12-14).

Il contrario dell’amore è l’odio. E apparentemente questo sembra molto logico, e lo è; ma occorre capire che casa significa odio. Questo termine è definito da un particolare verbo greco miso da cui parole come misoginia (avversione sviscerata verso il genere femminile) oppure misantropo (colui che odia il genere umano).

E’ una parola che denota una profonda avversione da un lato ma pure l’impossibilità di piacere dall’altro. Il misantropo non solo odia il genere umano, ma sperimenta un tale isolamento da impedirgli di realizzare la sua partecipazione a quel genere che tanto disprezza. Odia e si odia: nessuna persona odia la propria carne dice Paolo agli Efesini (Efesini 5:25-31), ma al contrario la cura teneramente.

Il misantropo non può curare la propria persona poiché ha escluso tutti, che in qualche modo sono gli “altri sé stesso”.

Ora ritorniamo al nostro tema. Giovanni dice che chi non ama in realtà non sta svolgendo un’attività neutra, ma si pone nella pericolosa sfera dell’odio che porta con sé delle disastrose conseguenze: il rimanere nella morte.

Allora chi ama ha la vita, ma chi non ama non solo odia, ma addirittura è morto. Ora mi rendo conto che una simile affermazione può non essere compresa o non condivisa. Gli esempi di atti e gesti d’amore che vediamo nel mondo sembrano andare nella direzione contraria rispetto a quello che stiamo dicendo.

Ma sarà chiaro se ragioniamo non in termini di atti ma di condizione. L’uomo che è lontano dalla fonte della vita (Dio), mostra i segni di una certa “vitalità”, ma non può sperimentare la realtà della vita nella sua interezza. Pensate un poco alla differenza che passa tra l’aria di una bombola ad ossigeno e l’aria, invece, che potete respirare a pieni polmoni durante una gita in montagna!

Esistono diversi modi di amare, o perlomeno, di manifestare l’amore. Ad esempio c’è l’amore per gli amici (Giovanni 15:12-15); l’amore per i nemici (Matteo 5:43-48); l’amore per il coniuge (Ecclesiaste 9:9); l’amore per la verità (II° Giovanni 1); l’amore per il mondo (I° Giovanni 2:15).

E gli esempi potrebbero moltiplicarsi. C’è un aspetto importante dell’amore: ovvero che la sua espressione si trova in intimità con le richieste della legge.

Infatti da brani biblici quali Galati 5.13-15 o Romani 13:8-10, l’amore trova la sua radice nel comandamento di “amare Dio ed il prossimo come sé stesso”. L’amore è l’adempimento della legge: questa è la dichiarazione che accompagna ogni atto di vero amore.

L’amore non è la legge: non esiste una legge dell’amore. E’ un grave errore illudersi che possediamo una legge dell’amore che ci guida all’ubbidienza, così che in noi stessi possiamo definirne i contenuti, le ragioni e la realtà.

Ma l’amore è il motore che rende possibile l’obbedienza alla vera legge, quella di Cristo. Non esiste un’amore che si dichiara autonomo dal comandamento. Autonomia deriva da due parole greche: autos (me stesso) e nomos (legge): io che divento legge a me stesso; ciò che sento e provo diventa il metro di valutazione della bontà del mio sentimento.

Il vero amore procede dal comandamento; non lo precede, ma lo completa. Oggi si assiste ad una diabolica tendenza: si pretende di far salire l’amore sugli altari, così da disprezzare ogni comandamento: “Al cuor non si comanda” è lo slogan che è urlato per le piazze e che riempie le nostre azioni. Si vuole svincolare l’amore da una legge che ne definisca gli scopi ed i contenuti; nonché l’espressione. L’azione diviene così libera, indipendente, lasciata all’interpretazione del momento.

Ogni atto d’amore scaturisce da un comandamento: ad esempio, quando ai mariti è ordinato di amate le loro mogli, l’amore è l’atto di risposta al vincolo dell’impegno e della relazione.

Non c’è spazio per nuovi comportamenti che si fregino del carattere dell’amore oltre a quelli espressamente previsti nella scrittura. Non vi sono manifestazioni indisciplinate dell’amore, così che evitino di sottoporsi alle prescrizioni del comandamento.

Allora la Scrittura ci invita a vedere l’amore all’interno della struttura della legge di Dio. Quindi se l’amore è sacrificio, riconciliazione e condizione nello stesso tempo è espressione della volontà della legge dichiarata da Dio.

Come abbiamo visto tra gli esempi di amore, vi è quello verso il mondo o per le cose del mondo (I° Giovanni 2:15): si tratta di un tipo di “amore” che non corrisponde però all’”amore” del Padre. L’amore, ed in modo particolare, quello per il mondo presuppone una scelta; ma se è fatta nella direzione sbagliata conduce ad un atto di infedeltà. Vorrei mostrarvi in che modo.

C’è un particolare episodio nella II° Epistola di Paolo a Timoteo. Quando Paolo nella sezione conclusiva della lettera, menziona tutti coloro che sono con lui, ad un certo punto dice a Timoteo, uo giovane collaboratore: “Cerca di venire presto da me, perché Dema avendo amato questo mondo, mi ha lasciato e se ne è andato a Tessalonica” (II° Timoteo 4:10).

Quindi il legame è tra l’amore del mondo ed il lasciare coloro ai quali si è legati da particolare affetto. Colui che ama il mondo si costringe ad una scelta dolorosa: tradire le persone a lui più care. Con molta probabilità Dema è stato un collaboratore di Paolo molto vicino a lui, e niente deve aver lasciato deluso l’apostolo più del constatare che questo collaboratore, avendo fatto una scelta sciocca, abbia rinnegato tutto quello che insieme avevano costruito per il Signore.

Al contrario l’amore per Dio e i suoi comandamenti non porta mai ad un atto di infedeltà: è vero il contrario, chi è in Dio è chiamato ad amare tutti persino i nemici! Non c’è spazio all’infedeltà nel campo dell’amore che procede da Dio, o meglio nella condizione di amore che Dio presenta.

Mi sembra molto importante sottolineare questo aspetto: colui che sceglie un tipo “sbagliato” di amore corre il rischio di abbandonare tutti, o perlomeno, le persone che confidano in lui.

Si può amare solamente se già si conosce la condizione dell’amore; o meglio, si può amare quando si è stati amati. Quindi l’amore è possibile solo in relazione all’amore ricevuto (I° Giovanni 4:19). L’apostolo vuole sottolineare l’aspetto importante dell’amore: solo coloro che hanno personalmente sperimentato la condizione dell’amore verso sé stessi sono messi in grado di rispondere sia a Dio che al prossimo.

Si ama o si può amare in profondità soltanto se si conosce la relazione con Dio che è amore e che trasferisce a noi la capacità di riceverlo e donarlo agli altri. La parola tipica che, nella Bibbia, definisce la concretezza dell’amore è koinonia che è un termine che significa comunione.

Ma è più di un semplice “stare insieme”: denota la profondità di un legame che viene creato e che porta a costruire un “edificio” fatto di diverse pietre viventi (I° Pietro 2:5).

Si tratta di una intimità di intenti e di sentimenti. Significa partecipare alla vita di qualcun altro e che si manifesta a diversi livelli e che ha come obiettivo la gioia (I° Giovanni 1:3).

L’idea dell’amore biblico è fondata sulla concretezza di una rivelazione chiara e decodificata di come “il Padre ed il Figlio” ci hanno amato. L’amore della Scrittura è legato alla parola che annuncia.

Un’esperienza tangibile che si trasferisce attraverso una parola di verità unita alla realtà di una vita rinnovata. L’amore è fondamentalmente un messaggio annunciato, ma che non si limita alle parole: è immediatamente seguito dai fatti (I° Giovanni 3:16-17).

L’amore è un messaggio “esemplificativo”. Come l’immagine  di Dio in Cristo si è concretizzata attraverso il sacrificio, così l’uomo o la donna che si riconoscono in quel messaggio si ritrovano a mostrarne i caratteri (Giovanni 13:17).

Strettamente connesso al tema dell’amore è quello del peccato. La connessione è presente in alcuni brani della Bibbia.

Il primo è Giovanni 3:16 (già visto in precedenza). Qui possiamo vedere la relazione amore – donazione – salvezza.

Relazione inscindibile che manifesta la necessaria equivalenza che esiste tra l’amore che libera ed il perdono che scioglie da qualsiasi schiavitù. Nel primo capitolo dell’Apocalisse (1:7) si scorge questo rapporto.

L’amore produce una concreta liberazione o scioglimento delle catene di schiavitù.

L’amore che libera è un’esperienza sofferente. E si tratta di una sofferenza che produce un servizio (Marco 10:45). Del resto, la libertà che l’amore ha prodotto non deve essere utilizzata per vivere secondo i propri criteri, ma per servire (Galati 5:13-14).

La libertà si gode nel servire gli altri. O meglio l’amore ha liberato per fare in modo che si possa giungere al servizio dell’altro. E l’amore che soffre richiede sempre un sacrificio, ovvero un’espiazione.

In questo senso si parla di Gesù come della propiziazione per i nostri peccati (I° Giovanni 2:1-3).

Il propiziatorio era il luogo dove si manifestava pienamente la giustizia di Dio. Ma perché la relazione amore – peccato? Cerchiamo di spiegarlo.

Il peccato è la violazione della legge (I° Giovanni 3:4), o meglio assenza di legge (dal momento che il termine greco per violazione è anomia ovvero assenza di legge). Colui che vive al di fuori della legge si configura quale soggetto “anarchico”, senza un principio e senza uno scopo.

Colui che pecca non ha più una sua propria “autonomia” (Giovanni 8:34), ed è soggetto ad un’altra volontà non sua (Romani 7:14-25). Inoltre colui che pecca si colloca in una diversa sfera di autorità: cioè nella sfera di azione del principe di questo mondo, il diavolo (Giovanni 8:44).

L’empio agisce sotto il potere della morte, e come tale è un omicida. (I° Giovanni 3:16-17).

Walter Trobisch afferma: “…L’obbedienza che è amore; chi ama obbedisce, e solo chi obbedisce è capace di amare.”[1]

Il peccato conduce ad un’insubordinazione; la disobbedienza manifesta l’incapacità di sottomettersi ad un’autorità superiore (Romani 8:5-8): se l’amore è il risultato dell’obbedienza al comandamento, colui che disubbidisce si preclude la possibilità di amare realmente.

Il peccato rappresenta l’impossibilità di proporsi nel rapporto d’amore, poiché mina alla radice la speranza e la facoltà di sperimentare la completa donazione che il comandamento richiede. Ancora, il peccato esige la manifestazione di un giudizio. Poiché il salario del peccato è la morte (Romani 6:23), le possibilità dell’amore sono impedite dalla condanna.

Questa è l’antitesi dell’amore; colui che viene condannato non sta sperimentando un atto di amore ma un atto di giudizio.

Egli non può conoscere l’amore per il semplice fatto che ne è privato a causa della condanna. Il giudice che emana una sentenza non sta “amando”, ma applica una sanzione che rappresenta l’alternativa negativa all’ubbidienza. Chi disubbidisce viene punito proprio a causa della sua persistenza nel contravvenire al comandamento.

E poiché l’amore è la realizzazione del comandamento, il peccato si caratterizza per la sua qualità di non-amore. Quindi chi pecca non ama. Da un lato perché sta negando il comandamento, che è la fonte dell’amore; dall’altro per la necessaria condanna che si attirerà a causa della disobbedienza. Ma quale è la relazione con l’amore? L’amore agisce sempre dopo il peccato, ed in soccorso di colui che ha peccato.

E’ il meraviglioso messaggio di Romani 5 dove è specificato che là dove il peccato è abbondato (e quindi la condanna e l’impossibilità dell’amore), la grazia è sovrabbondata (ovvero l’atto dell’amore che libera).

Anche il messaggio dell’apostolo Pietro è chiaro a riguardo: l’amore copre una grande quantità di peccati (I° Pietro 4:8).

L’amore, quindi, è la contrapposizione del peccato. Colui che ama si è manifestato per distruggere le opere del peccato (I° Giovanni 3:7-8).

E’ questa l’opera di Gesù. La liberazione è la missione di salvezza che porta a compimento il Cristo. Così, l’amore si pone come obiettivo il recupero completo di colui che pecca (I° Giovanni 5:16, Giacomo 5:19-20).

Tuttavia l’amore non agisce in autonomia dal comandamento. Gesù fu ubbidiente in ogni cosa (Filippesi 2:5-11). In Lui non si trovò colpa o peccato alcuno. Ed è proprio in virtù della Sua completa sottomissione al comandamento che il Figlio ha compiuto l’opera che il Padre gli aveva dato da fare: e quest’opera è la salvezza dal peccato.

Gesù, per mezzo di sé stesso, si propone come colui che libera quanti hanno commesso il peccato. L’amore libera attraverso il compimento di un’opera di salvezza; ma non ci si ferma a questo livello.

L’amore biblico è partecipazione. Coloro che sono liberati da Cristo, sperimentano l’amore di Dio in loro attraverso il dono dello Spirito Santo. Quindi l’amore non si limita a liberare, ma innesca un meccanismo di “ripetizione” presso coloro che ne hanno sperimentato la potenza.

E’ questo il senso della nostra compartecipazione al progetto di amore: noi amiamo perché Egli ci ha amati per primo (I° Giovanni 4:19). Mentre il peccato produce “isolamento” a causa del giudizio (colui che pecca è odioso ed odia gli altri – Tito 3:3 – ed è un omicida); l’amore che libera genera “comunione”: infatti siamo stati resi partecipi della sorte dei santi nella luce (Colossesi 1:12).

Avere l’amore, o meglio, “dimorare” nell’amore significa possedere la Parola di Dio. Colui che ha la Parola in lui riceve forza e vince il “maligno” (I° Giovanni 2:14).

L’idea della vittoria si lega al trionfo. Tutto il libro dell’Apocalisse parla della vittoria di Dio in Cristo, e della vittoria che possono godere i santi, che hanno il sigillo di Dio.

Vincere significa partecipare alla stessa vita di Dio (I° Giovanni 3:1-3). L’idea dell’amore biblico si manifesta attraverso la metafora del “camminare”, ovvero “girare intorno a qualcuno o a qualcosa”. Paolo esorta ad essere imitatori di Dio, ed a “camminare nell’amore” come anche Cristo ha amato ed ha dato sé stesso (Efesini 5:1-2).

Un altro aspetto che voglio sottolineare è che l’amore è il principio dell’elezione, ed è la variabile costante di tutta la vita cristiana. L’amore è alla radice del processo di redenzione, e si esplica attraverso le diverse fasi dell’esperienza del credente.

“Mentre eravamo senza forza, Cristo a suo tempo è morto per noi” (Romani 5:8-10). Questo brano inizia con una straordinaria affermazione:  “Per il grande amore con cui Dio ci ha amato”.

L’amore ha guidato la scelta di Dio, e l’amore viene “reso completo” in chi risponde al Suo amore, “camminando nei Suoi comandamenti”. E l’amore è assoluto ed immutabile: infatti nessuna creatura potrà separarci dall’amore di Dio che è in Cristo Gesù (Romani 8:39).

Mi limito ad alcune ultime considerazioni. La conversione produce il senso dell’amore di Dio in noi; la sua presenza è una anticipazione della potenza di sperimentare l’amore nella vita cristiana.

L’amore si propone obiettivi specifici

L’esempio è quello di Gesù che è visto come l’obiettivo dell’amore. Salvare ciò che era perduto fu il suo obiettivo principale e che lo guidò nella sua missione.

L’amore vive e si nutre di esempi concreti.

Gesù, Paolo sono stati esempi di amore per gli eletti di Dio (II° Timoteo 21:10). Un amore che pretende di esprimersi senza fare riferimento a chi lo ha preceduto è un amore che non tiene conto della necessità di essere equipaggiato per formare altri.

L’amore è della fede in Gesù.

L’amore si interroga sul reale e necessario bene dell’altro ed è legato in maniera inscindibile al modello del sacrificio di Gesù (Giovanni 13:1-17).

 

Vorrei ricapitolare brevemente: l’amore è una condizione nella quale si è; essa nasce da una relazione con Dio che è la fonte dell’amore; ha come obiettivo il sacrificio di sé e la riconciliazione di soggetti tra loro estranei o nemici; ed è in stretta relazione con la liberazione dalla schiavitù del peccato. Certamente potremmo dire molto di più: ma certamente nulla di meno.


[1] W. Trobisch – L’amore è un sentimento da imparare – Ed. GBU Roma