Celebri scienziati adorano speculare sulle domande fondamentali della vita del nostro universo. Secondo il fisico quantistico Steven Weinberg, “Le leggi fondamentali della natura, il libro delle regole che governano tutti i fenomeni naturali sono assolutamente impersonali e del tutto prive di un ruolo speciale per la vita”.  Il famoso paleontologo Steven Jay Gould ha affermato che “qualsiasi riproduzione porterebbe l’evoluzione su una strada radicalmente diversa da quella effettivamente percorsa”.  Altri scienziati però, notando il notevole fine-tuning del nostro universo, sono giunti a conclusioni diverse: “L’evoluzione con la sua miriade di fenomeni non è affatto fortuita e accidentale, ma è notevolmente prevedibile” (Conway Morris, 2010).
Cosa dobbiamo fare di queste affermazioni? Per questioni così rilevanti, dobbiamo accontentarci delle opinioni di scienziati che fanno argomentazioni ragionate che vanno ben oltre i loro principali campi di ricerca?
Fortunatamente, il campo dell’astrobiologia ha sviluppato approcci metodici e quantitativi a queste domande. Questa disciplina formula ipotesi verificabili relative alle origini della vita, come si è evoluta dai suoi primi stadi, e i contributi relativi del caso rispetto alla necessità nel modellare le sue proprietà fondamentali.
Spiegare la natura del cosmo non è solo un compito per i fisici – dato che la vita è stata presente per quasi un terzo dell’esistenza dell’universo, la biologia non è un dettaglio minore.
Inoltre, la vita ha un impatto drammatico sul mondo fisico, cambiando radicalmente sia la nostra atmosfera che la geologia del nostro pianeta. Gli astrobiologi mirano a collocare la fisica, la chimica e la biologia in un contesto più ampio che ci permette di capire meglio come la vita sia emersa su questo pianeta e come potrebbe apparire altrove nel nostro vasto universo.
Uno di questi scienziati è il membro dell’ASA Stephen Freeland, attualmente a capo di un team di ricerca presso l’Istituto di Astrobiologia della NASA dell’Università delle Hawaii sotto la guida della dottoressa Karen Meech. Poiché l’astrobiologia è altamente interdisciplinare, l’ampio background accademico di Steve è adatto a questo campo: una laurea in zoologia a Oxford, un master in calcolo biologico alla York University e un dottorato in genetica a Cambridge.
Le domande che riguardano la ricerca, non le discipline accademiche, hanno guidato gli studi di Steve, e lui ha trovato l’astrobiologia favorevole ai suoi interessi primari: “Fino a che punto la vita sulla Terra è il risultato del caso?  Inoltre, lo sviluppo della vita potrebbe essere un processo ripetibile che ha luogo altrove nell’universo?”
L’attuale ricerca di Steve esplora l’evoluzione degli aminoacidi – i mattoni delle proteine – che sono essenziali per la vita sul nostro pianeta. Quasi universalmente, indipendentemente dalla specie che si studia, i geni di un organismo codificano precisamente per 20 aminoacidi differenti. Questi stessi 20 sono assemblati in innumerevoli proteine diverse che permettono alle varie forme di vita di crescere e di prosperare, sia in una piscina bollente di acido che in una distesa artica congelata. Data la notevole diversità della vita esistente, questa fondamentale uniformità è un fatto notevole e una prova convincente di una discendenza storica condivisa. Ma gli astrobiologi sono anche desiderosi di capire perché il materiale genetico codifica per un insieme preciso di 20 aminoacidi, non per un numero inferiore o superiore (a parte alcune specie insolite che si sono evolute più recentemente per codificarne 22). Per esempio, dalle simulazioni di un mondo pre-biologico e da attente analisi di meteoriti, le prove attuali suggeriscono che molti altri aminoacidi erano disponibili all’origine della vita sulla Terra, e in effetti in tutta la galassia. Apparentemente le prime forme di vita hanno codificato solo la metà dell’attuale “alfabeto” di 20 aminoacidi, un piccolo sottoinsieme di ciò che era disponibile. L’evoluzione biologica ha poi creato il resto del proprio alfabeto, ignorando molti degli amminoacidi già prodotti dall’universo non vivente.
L’insieme risultante di 20 aminoacidi è in gran parte il risultato di una casualità (come implicava l’argomentazione di Stephen Jay Gould), o è un insieme ottimale di mattoni per forme di vita basate sul carbonio? Se la vita fosse sorta altrove, impiegherebbe aminoacidi diversi da quelli che osserviamo qui? In che misura le leggi della fisica e della chimica limitano le alternative, indicando la vita in una particolare direzione?
Conoscere le risposte a queste domande è importante per gli astrobiologi che cercano prove di vita al di fuori del nostro pianeta. Questa conoscenza sarebbe anche di immenso valore per i biologi sintetici mentre creano geni che codificano per nuove proteine mai osservate in natura.
Oltre all’entusiasmante campo di ricerca di Steve, anche il suo background personale è degno di nota. Come persona che esplora l’origine della vita, è molto attento alla tematica di Dio. Suo padre era un ministro metodista, e man mano che Steve cresceva, la sua curiosità lo spingeva ad esaminare altre tradizioni di fede. Durante l’adolescenza, è stato brevemente coinvolto in una comunità protestante fondamentalista, e da adulto è ora un anglicano praticante. Anche se la percezione pubblica suggerisce che scienza e il cristianesimo sono incompatibili, l’esperienza reale di Steve è stata diversa: nella sua ricerca, ha incontrato un discreto numero di altri credenti, spesso incontrandoli per caso in chiesa!
Nel mondo accademico, come nella maggior parte degli altri campi di carriera, la stragrande maggioranza delle conversazioni tra scienziati sono strettamente professionali.
Ma conoscendo alcuni dei suoi colleghi più personalmente, Steve stima che circa tre quarti di loro hanno qualche interesse per le tematiche spirituali, e sono consapevoli delle sue convinzioni. D’altra parte, gli studenti universitari di Steve lo hanno percepito in modo molto diverso.
Poiché ha insegnato principalmente corsi di ecologia, evoluzione e genetica, molti studenti hanno semplicemente supposto che Steve non potesse essere un cristiano. Fortunatamente, mentre insegnava all’Università del Maryland, Baltimore County (UMBC), gli fu assegnato un corso intitolato “Scienza contro religione: il campo di battaglia dell’evoluzione”. Fin dall’inizio, ha rifiutato l’assunto che scienza e religione sono intrinsecamente opposte.
Quando Steve ha insegnato dal 2003 al 2009, ha rinominato il programma “Le domande sono risposte” e ha rimodellato il suo contenuto di conseguenza. Questo cambiamento rifletteva la sua crescente convinzione che solo incoraggiando gli studenti ad adottare un approccio basato sull’indagine, avrebbero formulato il tipo di domande che possono arricchire e modellare la loro comprensione sia di Dio che della natura.
Alla domanda sulle più grandi obiezioni al cristianesimo in un mondo scientifico, Steve ha risposto che non è la questione delle origini della vita, ma il problema del male che è più impegnativo. La comprensione del male morale e naturale nel nostro mondo ha impegnato gli studiosi giudeo-cristiani attraverso la storia, non solo dall’avvento della scienza moderna.
Mentre Steve si sforza per una maggiore comprensione sia del suo percorso professionale che di quello personale, è sicuro che continuare a fare domande è la chiave per svelare i misteri della vita.


Di Thomas Burnett con Stephen Freeland (gennaio 2011)
Thomas Burnett è il vicedirettore del Public Engagement alla John Templeton Foundation. È responsabile dell’identificazione dei risultati stimolanti, sottovalutati e potenzialmente benefici delle recenti iniziative di ricerca al fine di migliorare l’impegno pubblico con “La scienza e le grandi domande”. Prima di entrare a far parte della Fondazione, Thomas ha lavorato nelle comunicazioni presso l’Accademia nazionale delle scienze. Prima di allora, ha lavorato per BioLogos e per l’AAAS Dialogue on Science, Ethics, and Religion. È stato anche borsista degli Ambasciatori del Rotary a Innsbruck, Austria. Burnett ha conseguito la laurea in filosofia presso la Rice University e ha proseguito gli studi di dottorato in storia della scienza presso la University of California, Berkeley.

Testo pubblicato originariamente su God and Nature. Tradotto e riprodotto qui con l’autorizzazione da parte dell’editore God and Nature. Il suo utilizzo totale o parziale è proibito in ogni forma previa richiesta e autorizzazione di InfoStudenti. Il contenuto del presente articolo non è alterabile o vendibile in alcun forma.
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