Tutto ciò che si è fatto in Occidente durante tanti secoli si è fatto all’ombra gigantesca della croce. Paul Louis Couchoud

Chiariamo subito, qualcuno letto il titolo fuggirà dal presente testo gridando ‘Bestemmia’ cercando chissà, il primo sacco di cui vestirsi, la prima cenere di cui cospargersi. Togliamo da subito il mal di denti a chi mal di denti ha, non parliamo di orgoglio inteso come supremazia dell’io, profonda autostima che mira alla propria esaltazione. Intendo piuttosto sottolineare che la pratica Cristiana può dirsi ‘orgogliosa’ del nome che porta. Può dirsi ‘orgogliosa’ del messaggio che annuncia e dell’evento che proclama, un evento che non ha portata storica che tenga, un evento che, come per magia, cammina con il mondo, e con il tempo, lo supera, e lo supererà.
Paul Luis Couchoud aveva ragione, nessun evento è fuggito all’ombra lunga della croce. Certo possiamo odiare quell’ombra, molti lo fanno, lo fanno i più, quelli che magari dicono di amarla, in realtà vivono nel disinteresse più totale, quale forma più potente di odio? Mi chiedo; fatto sta che nell’ombra ci siamo, ci siamo tutti. Ben disse Vittorio MessoriCi si laurea in storia senza aver neppure sfiorato il problema dell’esistenza dell’oscuro falegname ebreo che ha spezzato la storia in due: prima di Cristo, dopo di Cristo. Ci si laurea in lettere antiche sapendo tutto del mito greco-romano, studiato sui testi originali. Senza aver però mai accostato le parole greche del Nuovo Testamento. È singolare: la misura del tempo finisce con Gesù e da lui riparte. Eppure egli sembra nascosto. O lo si trascura o lo si dà per già noto.’
Io dico, lo si trascura, anzi, si prova a trascurarlo ma egli si prende la scena, da sempre la scena è sua che lo si voglia o meno, d’altronde, aggiungo, potrebbe il Signore della storia non avere il podio?
Vittorio Messori ha anche detto ‘Nel secolo scorso, sono stati dedicati a Gesù 62 mila volumi. Alla Biblioteca Nazionale di Parigi, specchio della cultura occidentale, la voce “Gesù” è seconda per numero di schede; la prima è “Dio”. Gesù è l’indiscusso protagonista, riconosciuto come tale. L’etica intesa, avrete a questo punto capito, come pratica, vita pratica, specchio di una trasformazione interiore, non può vergognarsi di quel nome, non può e non deve farlo, poiché tra le grida di un mondo che annuncia patetiche ottusità come se fossero canti angelici, la sua chiesa non può zittire, non più. Il nome più grande appartiene ad essa, il messaggio dei messaggi appartiene ad essa, l’annuncio degli annunci, la personalità delle personalità. Riconosciuto come tale anche dai suoi nemici.
Friedrich Nietzsche disse ‘Gesù ha volato più alto di chiunque altro’. Lo segue Napoleone BuonaparteAlessandro, Cesare, Carlo Magno ed io abbiamo fondato enormi imperi; ma da cosa dipendevano queste nostre creazioni geniali? Dalla forza. Solo Gesù ha fondato un impero basato sull’amore e, ancora oggi, milioni di persone sono disposte a morire per lui.’
Le parole di Leon Bloy c’incantano ‘Gesù sta al centro di tutto, assume tutto e si fa carico di tutto, tutto soffre. E’ impossibile colpire oggi un qualunque essere senza colpire lui, è impossibile umiliare qualcuno o annientarlo, senza umiliare lui, maledire o assassinare uno qualsiasi, senza maledire o uccidere lui’. Alfredo Oriani non si allontana ‘Creduli o increduli, nessuno sa sottrarsi all’incanto di quella figura, nessun dolore ha rinunciato sinceramente al fascino della sua promessa’. Gesù è il di più, qualsiasi sia il tuo pensiero, il tuo messaggio, la tua filosofia egli è il di più, più di quanto la mente possa mai partorire con la sua presunta e mortale fantasia. Più di quanto si possa afferrare o produrre, più di quanto si possa sperare. Egli è il di più, più di ogni nostra limitata poesia, più di ogni nostro umano gesto o pittoresca storia. La storia appunto, che tutto ingoia come un serpente, si è inchinata ad un ipotetico puntino in essa. Nessuno ha vinto la sfida con la storia come il giovane falegname nato a Betlemme. Tra tutti i nomi incisi, in essa, sicuramente manca il suo… la storia non ha inciso il suo nome, la storia è incisa nel suo nome e chiunque della storia è parte è parte di quell’ombra lunga che tutto pone sotto quel nome, quel nome che amico o nemico che sia, resta l’indiscusso nome protagonista. Ora quale vessillo più straordinario di Cristo? Come ignorarlo? Come vergognarsi di ciò? Non si può pensare di essere cristiani e vergognarsi di Lui, stando muti come pecore condotte al macello, e non per quell’umiltà e dolcezza dinanzi al nemico, piuttosto è codardia dinanzi alle filosofie vuote che la nostra società canta ad ogni angolo. Essere senza voce per via della vergogna, spinge ad essere deboli, e di conseguenza questo porta a presentare Cristo con imbarazzo come se fosse il più piccolo degli dei, il più patetico degli idoli, il più miserabile dei signori, la più incerta delle verità. Egli è altro, assolutamente altro, l’altro dal misero e debole come ebbe a dire Franz Kafka in risposta all’amico che gli chiese ‘… e Cristo?’ Risposta monumentale ‘È un abisso pieno di luce, bisogna chiudere gli occhi per non precipitarvi’. Ora in tale abisso sono precipitati tutti i sui seguaci, che si sono accorti che l’abisso di luce, luce era per il tramite di quel sangue che ben altro abisso sfidò e vinse. Quel dì, quel pomeriggio cupo di oltre duemila anni or sono, Cristo ha condotto in seno all’essere la rivoluzione delle rivoluzioni. La storia accolse quella rivoluzione dapprima come una piccola sommossa, poi come la più patetica delle sconfitte, ancora come la più incredibile delle stranezze e infine, testimone è la storia, il più straordinario dei trionfi ed è vero.
L’unica grande rivoluzione avvenuta nel nostro mondo occidentale è quella di Cristo il quale dette all’uomo la consapevolezza del Bene e del Male, e quindi il senso del peccato e del rimorso. In confronto a questa tutte le altre rivoluzioni? compresa quella francese e quella russa? fanno ridere.Indro Montanelli
Concordo con Montanelli, e se la rivoluzione delle rivoluzioni è stata quella di Cristo allora con orgoglio praticheremo ciò che ci ha insegnato e comunicheremo ciò che ha fatto e vuol fare. Poiché di tutto è lecito, forse, provare imbarazzo, certo non del nome che portiamo.

di Stefano Bonavolta

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