tratto da Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’Armonia fra scienza e fede


Francis Collins, direttore del Progetto Genoma Umano, racconta in questo libro il suo passaggio dall’ateismo alla fede e come questo passaggio non sia mai stato in contrasto con il suo essere anche uomo di scienza. In questo brano in particolare, l’autore spiega quale sia stato il suo percorso di ricerca e indagine della fede.


Nel capitolo d’apertura di questo libro ho descritto il mio percorso personale dall’ateismo alla fede. Ora devo una spiegazione più approfondita del mio cammino successivo. Ne parlo con un po’ di trepidazione, perché appena uno passa da una sensazione generica dell’esistenza di Dio a uno specifico insieme di credenze, tendono a scatenarsi in lui forti passioni. Gran parte delle religioni mondiali condivide molte verità, e probabilmente certi culti non sarebbero sopravvissuti se così non fosse. Tuttavia, presentano anche differenze interessanti e importanti, e ogni persona deve trovare, nel culto che lo riguarda, un proprio particolare sentiero verso la verità. Dopo la mia conversione dedicai una notevole quantità di tempo allo sforzo di discernere quali potessero essere le caratteristiche salienti di Dio. Giunsi alla conclusione che si doveva trattare di un Dio interessato alle persone, altrimenti il ragionamento sulla legge morale non avrebbe avuto senso. Quindi, il deismo non faceva per me. Conclusi anche che Dio doveva essere santo e giusto, poiché la legge morale mi orientava in tale direzione. Ma tutto questo mi sembrava ancora terribilmente astratto.

Il solo fatto che Dio sia buono e ami le sue creature, per esempio, non implica necessariamente che dobbiamo poter comunicare con lui, o avere con lui un rapporto di qualche tipo. Tuttavia, sentivo crescere in me un vivo desiderio di una tale relazione, e cominciai a capire che era questa la funzione della preghiera. La preghiera non è, come alcuni sembrano suggerire, un’opportunità di manipolare Dio per indurlo a fare ciò che vogliamo. E, invece, il mezzo con cui cercare un contatto con lui, apprendere qualcosa di lui, e tentare di percepire il suo punto di vista sui problemi che dobbiamo affrontare e che suscitano in noi perplessità, stupore o angoscia. Tuttavia, era difficile costruire un ponte verso Dio. Più cose imparavo su di lui, più la sua purezza e la sua santità mi sembravano inavvicinabili, e più bui mi parevano i miei pensieri e le mie azioni in confronto allo splendore della sua luce. Diventai sempre più consapevole della mia incapacità di fare la cosa giusta, anche solo per un singolo giorno. Potevo produrre scuse in quantità, ma quando ero onesto con me stesso, orgoglio, apatia e collera vincevano regolarmente le mie battaglie interne. Non avevo mai realmente pensato di definire me stesso «peccatore», ma adesso mi era dolorosamente evidente che questa parola antiquata, che prima mi faceva indietreggiare inorridito perché mi appariva grossolana e censoria, era invece piuttosto calzante. Cercai di escogitare una cura, dedicando più tempo all’introspezione e alla preghiera. Ma tali sforzi risultarono in gran parte aridi e insoddisfacenti, non riuscendo a superare lo squarcio sempre più ampio fra la consapevolezza della mia imperfetta natura e, viceversa, della perfezione di Dio.

Proprio mentre l’oscurità si andava infittendo, mi imbattei nella figura di Gesù Cristo. Nella mia adolescenza, pur essendomi seduto per anni nella cantoria di una chiesa cristiana, in realtà non avevo mai avuto idea di chi fosse veramente Cristo. Pensavo a lui come a un mito, un personaggio da fiaba, un supereroe di una storia della buonanotte. Ma quando lessi per la prima volta l’effettivo resoconto della sua vita nei quattro vangeli, il carattere delle narrazioni (testimonianze oculari) e l’enormità delle sue affermazioni e delle loro conseguenze cominciarono gradualmente a fare presa su di me. Ecco un uomo che asseriva non solo di conoscere Dio, ma di essere lui stesso Dio! In nessun’altra fede si poteva trovare una figura che avesse avanzato una pretesa così oltraggiosa. Cristo affermò anche di essere in grado di perdonare i peccati, cosa che mi pareva al tempo stesso eccitante e assolutamente scandalosa. Era umile e affettuoso, pronunciò notevoli parole di saggezza, eppure fu condannato a morire sulla croce da persone che avevano paura di lui. Era un uomo e pertanto conosceva la condizione umana, che in quel momento io trovavo così gravosa, e tuttavia promise di liberare l’uomo da quel fardello: «Venite a me, voi tutti, che siete affaticati e oppressi, e io vi ristorerò» (Mt 11,28). L’altra cosa scandalosa che le testimonianze oculari del Nuovo Testamento dicevano di lui, e che i cristiani sembrano avere assunto come dogma centrale della propria fede, è che quest’uomo buono era risorto dal regno dei morti. Per una mente scientifica come la mia, era un’idea difficile da accettare. Ma d’altro lato, se Cristo era davvero il Figlio di Dio, come affermò esplicitamente di essere, allora era sicuramente l’unico fra tutti gli uomini della Terra a essere in grado di sospendere le leggi della natura, se gli era necessario per conseguire un fine più importante. La sua risurrezione, però, dovette essere qualcosa di più di una semplice dimostrazione di poteri magici. Quale fu il suo vero significato? I cristiani si sono arrovellati su tale questione per due millenni. Dopo molte ricerche, non riuscii a trovare un’unica risposta; invece, ne individuai parecchie intrecciate fra loro, che tendevano tutte a mettere in luce l’idea di un ponte tra noi uomini peccatori e un Dio santo. Alcuni commentatori dei vangeli evidenziano il concetto di sostituzione: Cristo sarebbe morto al posto nostro, che meriteremmo il castigo di Dio per le nostre malefatte. Altri parlano di redenzione: Cristo avrebbe pagato il prezzo più alto per liberarci dalla schiavitù del peccato, così che potessimo trovare Dio e pace fiduciosi che lui non ci avrebbe più giudicato in base alle nostre azioni, considerandoci ormai purificati. I cristiani parlano a tale proposito di salvezza per grazia. Per me, tuttavia, la crocifissione e la risurrezione dovevano essere servite anche a qualcos’altro. A impedirmi di realizzare il mio desiderio di avvicinarmi a Dio erano la mia superbia e la mia corruzione, che a loro volta erano una conseguenza inevitabile del desiderio egoistico di mantenere il controllo della situazione. Per essere fedeli a Dio e poter rinascere come una nuova creazione, era necessario rinunciare del tutto a tale caparbia determinazione.

(…) Prima di diventare credente, questo tipo di logica mi sembrava un assoluto nonsenso. Ora, invece, la crocifissione e la risurrezione emergevano come una soluzione convincente al problema dell’abisso che mi separava da Dio, che ora poteva essere colmato dalla figura di Gesù Cristo. Così, mi convinsi che la venuta di Dio sulla Terra nella persona di Gesù poteva servire a uno scopo divino. Ma ciò era compatibile con la storia? Lo scienziato in me si sarebbe rifiutato di fare un solo passo in più in questo cammino verso la fede cristiana – a prescindere dall’attrattiva che esercitava – se i testi biblici su Cristo si fossero rivelati un mito o, peggio ancora, un imbroglio. Ma più leggevo i resoconti, biblici e non, degli avvenimenti occorsi nella Palestina del I secolo, più restavo stupito dall’evidenza storica dell’esistenza di Gesù Cristo. Prima di tutto, i vangeli di Matteo, Marco, Luca e Giovanni furono messi per iscritto solo pochi decenni dopo la sua morte. Sia il loro stile, sia il loro contenuto indicano evidentemente che furono concepiti come resoconti di testimonianze oculari (Matteo e Giovanni erano due dei dodici apostoli).

In seguito al ritrovamento di manoscritti molto antichi, non c’è più motivo di preoccuparsi che nel processo di trascrizione e traduzione di questi testi possano essersi verificati degli errori. Pertanto, l’evidenza in favore dell’autenticità dei quattro vangeli risulta piuttosto consistente. Inoltre, storici non cristiani del I secolo come Giuseppe Flavio recano testimonianza della crocifissione di un profeta ebraico per decisione di Ponzio Pilato intorno al 33 d.C. Molte altre prove in favore della storicità della figura di Cristo sono state raccolte in numerosi eccellenti volumi. Di fatto, come ha scritto uno studioso: «Per uno storico senza preconcetti, la storicità di Cristo è altrettanto assiomatica a quella di Giulio Cesare» [F.F. Bruce, The New Testament Documents, Are They Reliable?, Eerdmans Publishing Companym Grand Rapids 2003].


Francis S. Collins, Il linguaggio di Dio. Alla ricerca dell’armonia tra scienza e fede, Sperling & Kupfer Editori, Milano 2007, pp. 223-229