Fino a poco tempo fa il termine nichilismo era importante per capire la condizione umana tardo-moderna. Poi è arrivato l’undici settembre e, da allora, più che di nichilismo si parla di terrorismo e di fondamentalismo. Eppure la condizione che il nichilismo descrive rimane rilevante. Esso non è da intendersi come assenza di significato, ma come riconoscimento della pluralità dei significati. Non è la fine della civiltà, ma l’inizio di nuovi paradigmi sociali. Il nichilismo è, dopotutto, la cifra di quello che è oggi contemporaneo, postmoderno.
I nichilisti sono, per dirla con le parole di un filosofo, “nullisti che celebrano la morte delle strutture”. Hanno un atteggiamento critico verso tutto: dalle organizzazioni commerciali (multinazionali e aziende locali) alle istituzioni socio-religiose, dall’informazione alla politica. Ogni cosa è messa in dubbio, da tutti. Più che un pericolo o un problema, il nichilismo è la (banale) condizione postmoderna di default (G. Vattimo). Una libertà illusoria, autofaga, intrinsecamente ridicola, che più cerca di essere seria, più diventa assurda e pomposa.
Si presentano così esistenze costruite sui paradossi. Così, ad esempio, quando tutti hanno il diritto di parola, tutti finiscono per credere di avere il diritto di essere ascoltati, e quando tutti credono di avere il diritto di essere ascoltati va a finire che nessuno in particolare viene ascoltato (C. Trueman).
Che fare? Innanzitutto ridere. Ridere della nostra ridicola complicità nelle assurdità del nichilismo, svelare le contraddizioni del sistema per quelle che sono, deridere e decostruire personalità dall’ego dilatato per l’insensata importanza che si attribuiscono … sovvertire cioè il sistema dall’interno.

di Giuseppe Rizza

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